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Uil. Lo stato della disoccupazione in Italia

Il mercato del lavoro italiano pur avendo visto il susseguirsi di diverse riforme del lavoro nel corso degli ultimi 10 anni (Riforma del Lavoro Fornero del 2012, il Jobs Act del 2015, il Decreto Dignità del 2017), non ha purtroppo risolto due grandi temi: quello del precariato e dell’inefficienza del sistema di incontro domanda-offerta di lavoro.

Il combinato disposto di queste due criticità ataviche, si è tradotto in alti tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, peggiorati negli anni dalle ricadute occupazionali della crisi economico-finanziaria del 2008 e dalla recente pandemia del 2020.

Basti pensare che nel 2007 il tasso disoccupazione era al 6,1%, iniziando a crescere dal 2008 fino ad arrivare al picco del 12,9% nel 2014, anno che coincide anche con il tasso più alto di disoccupazione giovanile (42,7%).

Tra il 2008 e il 2013 sono stati persi circa 1,2 milioni di occupati, spesso con contratti a scadenza, che sono andati ad “ingrossare” il bacino dei disoccupati. Ma questi sono anche gli anni in cui aumentano i giovani NEET (l’apice si raggiunge nel 2013 con oltre 3,5 milioni di giovani tra i 15-34 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione). Insomma sono anni difficili per chi perde e per chi è alla ricerca di un lavoro, soprattutto in presenza di un sistema di Servizi per l’Impiego inefficiente (anche a causa di assenza di investimenti nell’organico), nell’inserimento lavorativo delle persone nel mercato del lavoro e nel rendere esigibile l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.

I dati dell’Osservatorio sul Precariato Inps di quegli anni, ci dicono che ben oltre il 60% delle nuove attivazioni di rapporti di lavoro sono avvenute con il solo contratto a tempo determinato. Se a questa percentuale sommiamo la variegata pletora di forme di lavoro temporanee e di istituti quali i voucher ed i tirocini, si può facilmente desumere come quella percentuale del 60% di temporaneità lavorativa, sia in realtà molto più alta.

Quindi da una parte il fattore crisi come causa dell’innalzamento del numero dei disoccupati, ma dall’altra la temporaneità lavorativa come concausa di tale effetto poiché, soprattutto in tempo di crisi, i primi a diventare disoccupati sono coloro che hanno contratti a scadenza.

Dall’inizio di quella nefasta crisi, passano anni e diversi Governi, ed ognuno mette il “timbro” su misure sul lavoro volte principalmente ad aumentare l’occupazione riducendo la disoccupazione ed il numero dei NEET.

Arriviamo con fatica e a piccoli passi al 2019, un anno dove per la prima volta, si iniziano a respirare i livelli di occupazione del 2008 (oltre 23 milioni di occupati), il tasso di disoccupazione nazionale scende al 9,9% e quello giovanile al 29,2%. Seppur ancora molto alto, si riduce anche il numero di NEET che arriva a 2,9 milioni di giovani.

Nel momento i cui tutto sembrava essere quasi rientrato nella “normalità”, il mercato del lavoro si trova ad affrontare un altro duro colpo: l’arrivo della pandemia del 2020.

Qui siamo di fronte ad un nemico che ci ha colti totalmente impreparati rispetto al suo arrivo e alla portata dei suoi effetti dirompenti sia sul versante della salute delle persone che sul versante produttivo-occupazionale. Ma, nello stesso tempo, e con il senno di poi, è possibile dire che gli strumenti con cui si è reagito, sono stati più efficaci e veloci della precedente crisi del 2008. Si poteva rischiare la debacle totale del Paese, una gravissima emorragia occupazionale senza precedenti, ma grazie a misure emergenziali quali il blocco dei licenziamenti e l’ingente stanziamento di risorse sia nazionali che europee (Sure) con cui è stato possibile fornire un sostegno al reddito alla quasi totalità di lavoratrici e lavoratori (attraverso la cassa integrazione in deroga, l’indennità per l’occupazione con carriere discontinue e frammentate, bonus, etc), gli effetti negativi sulla disoccupazione sono stati molto più contenuti che nel passato.

Nel 2020 il tasso di disoccupazione è stato, infatti, del 9,3% (molto al di sotto di quello del 2014) e quello giovanile del 29,8% (con un’ampia forbice rispetto al 42,7% del 2014). L’aver tamponato con tutte le misure possibili e disponibili il rischio di una più grave emorragia occupazionale, non significa però aver risolto tutti i problemi. Anzi, la stessa pandemia è servita a mettere sotto i riflettori e a portare a galla, problemi e criticità del nostro mercato del lavoro, tra cui il maggior stato di precarietà lavorativa di giovani e donne, che prima degli altri sono diventati disoccupati a causa di contratti scaduti e non rinnovati, la maggiore difficoltà che incontrano le donne disoccupate a reinserirsi nel mercato del lavoro e la loro eterna funzione di equilibriste tra esigenze di lavoro e di vita, il forte gap occupazionale tra Nord e Mezzogiorno continuando ad essere l’area con il più elevato tasso di disoccupazione.

Ad ottobre 2022, e quindi a distanza di quasi 3 anni dall’inizio della pandemia, possiamo dire che qualche luce inizia ad intravedersi: il tasso di disoccupazione si è ulteriormente ridotto arrivando al 7,8% anche se in termini assoluti il numero di persone in cerca di occupazione resta molto alto contando circa 2 milioni di disoccupati; il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15-24 anni è sceso al 23,9%, ma anche in questo caso siamo ancora su percentuali troppo alte; la riduzione della disoccupazione si è tradotta in un aumento positivo del numero degli occupati con circa 500 mila unità di lavoro in più rispetto allo stesso mese del 2021.

Possiamo tirare un sospiro di sollievo dalla lettura di questi dati? Non possiamo dare una risposta affermativa, sia perché guardando al resto d’Europa siamo al 4° posto per tasso di disoccupazione più alto, sia perché se guardiamo anche al dato qualitativo dell’occupazione che si sta creando ci accorgiamo che nel 2022 solo il 17% di attivazioni di rapporti di lavoro sta avvenendo con contratti a tempo indeterminato e apprendistato. Il restante sono accensioni di rapporti di lavoro flessibili e temporanee, proprio quelle con cui è più facile divenire disoccupati di domani. Ed in questo quadro, non va dimenticato che esistono istituti come i tirocini extracurriculari, spesso fittizi, ed il lavoro accessorio, su cui l’attuale Governo intende ulteriormente allargare le maglie dell’utilizzo, che non essendo tipologie contrattuali tout court, non daranno diritto alla Naspi in caso di cessazione della prestazione lavorativa.

Su questi temi, come su molti altri quale ad esempio rendere efficiente ed efficace l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, occorre aprire una riflessione seria poiché per la UIL il tema della creazione dell’occupazione deve basarsi non sull’utilizzo spasmodico di contratti precari dove il rischio di aumento della disoccupazione è dietro l’angolo, ma di occupazione stabile e sicura regolata dalla contrattazione collettiva.

Dipartimento UIL mercato sul lavoro, ammortizzatori sociali e politiche attive

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