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«Ridurre le imposte sul costo del lavoro è una misura assolutamente necessaria». Intervista a Gerardo Romano

Gerardo Romano, Segretario nazionale UILPA

Mentre un’inflazione fuori controllo continua a distruggere i salari, la politica sembra incapace di fornire risposte a una crisi sociale che coinvolge ormai anche una parte consistente del lavoro pubblico.  Gerardo Romano, Segretario nazionale UILPA, offre un’analisi obiettiva del problema salariale e avanza proposte che nascono da una profonda conoscenza dei problemi e sono il frutto dell’attitudine del sindacato a confrontarsi quotidianamente con le difficoltà dei lavoratori.

 

Nel pubblico come nel privato il costo del lavoro è troppo alto e le buste-paga troppo leggere. Come spiega questo fenomeno?

È un problema evidente per tutti i lavoratori dipendenti e prima o poi dovrà essere risolto. Oggi in busta paga, al netto, delle tasse e dei contributi previdenziali abbiamo meno del 40% del costo che il datore di lavoro sopporta. Il 37,79, per il 2023, di contributi previdenziali, di cui il 9,76 a carico del lavoratore, cui aggiungere almeno uno 0,5 % di Inail, più un 4,82 di Irap se ad esempio lavori nel Lazio. A questo dobbiamo aggiungere le ritenute fiscali, ossia l’Irpef, che su un reddito annuo di 30.000 euro valgono circa il 27%. Il valore della produzione riconosciuta al lavoratore trova così un abbattimento insostenibile sul suo reddito reale, anche perché, in Italia, per i lavoratori dipendenti, la ritenuta fiscale viene effettuata alla fonte.

 

Lei è favorevole all’idea di aumentare i salari riducendo il carico fiscale?

Ritengo sia ineluttabile se non vogliamo creare una condizione di generalizzata povertà anche laddove si è occupati. Oggi si può lavorare e trovarsi in grave disagio economico.  Avendo presente, come prima accennato, che anche a fronte di un aumento di 100 euro in tasca al lavoratore ne arriverebbero forse 40. Non è possibile accettare che il reddito da lavoro sia così poco remunerato in confronto, ad esempio, al reddito da capitale. Così come forse ci si dovrà interrogare se la ritenuta alla fonte sia equa. Per questo ritengo che la riduzione delle imposte che gravano sul lavoro sia assolutamente necessaria: non solo detassare il salario cosiddetto di produttività, ma operare su tutto il salario accessorio potrebbe dare, da subito, qualche risultato tangibile.

 

Non crede che il recupero di valore delle retribuzioni andrebbe legato a un recupero di produttività?

Quando si parla di recupero di produttività in Italia ci si deve convincere che le imposte sul lavoro hanno raggiunto livelli che rendono difficile mantenere il nostro sistema produttivo competitivo a livello internazionale. E che eventuali scorciatoie, come ad esempio quella di rendere più conveniente lavorare a partita IVA, sono un modo non solo di precarizzare il mondo del lavoro, ma anche di distruggere il concetto stesso di azienda che è il luogo dove il patrimonio di una comunità, sia esso di beni o di conoscenza, si trasforma in ricchezza.

 

Sulle progressioni economiche orizzontali e fra le aree il CCNL Funzioni Centrali 2019-2021 ha fissato nuove regole. Tuttavia le controparti pubbliche non sembrano sempre pronte a recepirle in sede di trattativa decentrata. Cosa sta ostacolando il confronto tra amministrazioni e sindacato?

Direi il coraggio… che non c’è! Chi è chiamato a gestire le Amministrazioni dovrebbe avere il coraggio di elaborare, nel confronto con i sindacati, risposte originali e coerenti alle specificità della propria struttura. Valorizzare le competenze e mettere in condizione i lavoratori pubblici di essere protagonisti nel loro lavoro, responsabilizzandoli e facendoli lavorare per obiettivi. Invece oggi abbiamo processi organizzativi che mortificano i saperi e il buon lavoro.

 

Come si risolve questo problema?

Adeguando le nuove famiglie professionali alle nuove conoscenze che sono necessarie nella Pubblica Amministrazione e alle nuove mansioni. Vi è la preoccupazione di parte della dirigenza di cedere prerogative datoriali in tema di organizzazione del lavoro andando a contrattare le mansioni, dimenticando tuttavia che la descrizione delle mansioni resta prerogativa datoriale, mentre la loro corrispondenza nel nuovo sistema ordinamentale sono competenza della contrattazione. Non si devono fare esercizi astratti con soluzioni valide per tutte le realtà in ragione di una presunta coerenza o equità. L’equità si ha dando risposte adeguate alle specifiche caratteristiche di ogni Amministrazione.

 

Col nuovo CCNL si sono create le condizioni per recuperare, almeno in parte, i danni creati dal blocco delle progressioni. Mi pare una buona notizia.

Sì. Oggi con le procedure di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale abbiamo l’opportunità di risolvere evidenti problemi di mansionismo. Bisogna essere capaci di lavorare per trovare le soluzioni migliori per riconoscere l’accrescimento professionale conseguito e non nascondersi su rimpalli interpretativi che mortificano la dignità dei lavoratori.

 

E le progressioni orizzontali?

 Stante le risorse disponibili anche per le nuove progressioni orizzontali bisognerà agire con linearità avendo a riferimento la permanenza nel livello e le valutazioni già effettuate nel triennio con la cadenza annuale prevista dal contratto.

 

Oltre alle progressioni economiche esistono altre fronti dove il confronto amministrazioni-sindacato risulta problematico in termini di applicazione del CCNL?

È forse presto per dare una risposta compiuta. Ritengo che motivi di più complesso confronto verranno in tema di lavoro agile e lavoro da remoto soprattutto in ragione dei mezzi tecnici che le Amministrazioni sapranno rendere disponibili, per far crescere l’esperienza positiva sinora registrata e saper davvero passare dalla rilevazione della presenza alla cultura del risultato quale elemento caratterizzante la prestazione richiesta al lavoratore.

L’altro argomento sarà la costituzione e il reale funzionamento dell’Organismo paritetico per l’innovazione che pretenderebbe da parte di ogni singola Amministrazione la capacità di una costante programmazione degli interventi sull’organizzazione del lavoro.

 

Fondo Perseo-Sirio nelle amministrazioni centrali. Al di là del silenzio-assenso, qual è il fattore decisivo per convincere i dipendenti pubblici a scegliere la previdenza complementare di origine contrattuale?

L’informazione. Dobbiamo davvero garantire una conoscenza del sistema previdenziale. La previdenza obbligatoria risente del calo demografico e del preoccupante rapporto tra lavoratori attivi e pensionati e, continuando a restare irrisolto il problema della mancata distinzione tra previdenza e assistenza, la disciplina è soggetta a cicliche rivisitazioni. La conseguenza è che i trattamenti pensionistici derivanti dalla previdenza obbligatoria sono soggetti a mutazioni durante il corso del tempo. Al contrario, la previdenza complementare garantisce una prestazione basata su quanto versato da ogni singolo lavoratore. Anche qui c’è un elemento di indeterminatezza legato alla ricapitalizzazione del versato, ma l’esperienza della ciclicità dei valori dei listini borsistici insegna che nel tempo il livello di rischio è bassissimo o nullo.

Se ad oggi si avesse la piena consapevolezza che, per gli assunti dopo il 1995, il rapporto tra la prestazione pensionistica attesa e l’ultima retribuzione percepita è del 65/70% non c’è dubbio che tutti coloro che hanno l’opportunità di fare ricorso alla previdenza complementare se ne gioverebbero.

 

A cura dell’Ufficio comunicazione UILPA

Roma, 15 dicembre 2022

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