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Primo Maggio. Il lavoro
al centro di un nuovo
progetto di società

Sandro Colombi, Segretario generale UILPA

Compagne e compagni, lavoratrici e lavoratori,

 

dapprima voglio esprimere tutta la mia emozione nell’essere oggi qui a Bergamo, in questo Primo Maggio.

Una Bergamo espressione di una piazza di unità, perché è innanzitutto l’unità delle lavoratrici e lavoratori ciò che di più grande esiste per difendere e rivendicare il senso e la forza della nostra Costituzione.

E bene hanno fatto CGIL, CISL e UIL a dedicare questo Primo Maggio alla Costituzione come presidio di valori.

Concedetemi di ringraziare chi in questo Primo Maggio è come sempre al lavoro per non far mancare i servizi essenziali a tutti noi, le tante lavoratrici e lavoratori della Pubblica Amministrazione.

Vedo presenti i Vigili del Fuoco, vedo gli agenti della Polizia penitenziaria, grazie, siete preziosi per la società, siete lavoratori a servizio delle istituzioni e troppo spesso non apprezzati per il grande servizio che rendete alla Nazione.

Questo Primo Maggio cade in un momento storico insolito e inquietante per il Paese. Personalmente non ricordo di aver mai vissuto un Primo Maggio come questo. E sì che di feste del lavoro ne ho salutate tante in trentacinque di servizio.

L’atmosfera che si respira oggi è diversa da quella degli anni passati, che pure non sono stati facili. È un’atmosfera sovraccarica di tensioni. Come se nella nostra società venissero al pettine tutti i nodi che si sono accumulati per tanto tempo, specialmente nel mondo del lavoro. È per questo che oggi è una giornata di mobilitazione e non di festa.

Parlo del lavoro perché siamo gente che vive di lavoro. Ma il lavoro manca, stressa, spesso non rende abbastanza e soprattutto cambia. Ci dicono che dobbiamo adattarci a questa situazione perché siamo in un’epoca in cui tutto diventa transizione: c’è la transizione digitale e quella ecologica, la transizione occupazionale e quella economica, la transizione sanitaria e quella alimentare, poi c’è la transizione energetica e insomma abbiamo perso il conto.

Tutto è in transizione e non c’è più nulla di stabile. Ma soprattutto, non c’è più nulla di normale, nulla che possa essere gestito con strumenti ordinari. D’altronde il concetto di transizione va a braccetto con quello di emergenza. Fateci caso: ad ogni transizione corrisponde un’emergenza, ad ogni emergenza corrisponde una transizione.

Ma siamo stanchi di una transizione che non finisce mai e di emergenze che si susseguono una dietro l’altra. Siamo stanchi di vedere sempre più ridotti i nostri diritti. Siamo stanchi di buste-paga con le quali si fatica ad arrivare a fine mese. Siamo stanchi di vivere continuamente nell’incertezza. Siamo stanchi di essere considerati oggetti e non persone.

Ecco perché questo Primo Maggio è diverso da quelli che abbiamo vissuto fino ad oggi. Perché questo è il Primo Maggio in cui dopo tanto tempo tutti noi abbiamo coscienza della necessità di voltare pagina, di fermare una volta per tutte 30 anni e più di politiche contro il lavoro, contro i diritti, contro la partecipazione, contro di noi. Non ci stiamo più ad essere pedine mercati finanziari che fanno sempre e solo gli interessi di banchieri, industriali e speculatori di ogni tipo.

Oggi noi tutti avvertiamo chiaramente le contraddizioni alla base del nostro modello di società. Troppe cose non vanno in un progetto economico e sociale in cui l’élite economica vince sempre. E se qualcuno oggi si è chiesto che senso ha ritrovarsi ancora una volta in piazza a celebrare la Festa del Lavoro, ecco le risposte.

Siamo qui perché vogliamo rivendicare il nostro diritto a decidere delle nostre vite e del nostro futuro.

Siamo qui perché pretendiamo di essere parte attiva delle scelte che ci riguardano.

Siamo qui perché non ci rassegniamo ad essere i soldatini ubbidienti delle transizioni e delle emergenze decise a tavolino da qualcuno che non ci rappresenta.

Abbiamo fatto caso tutti che da qualche anno la politica quando affronta temi economici fa riferimento alle famiglie e alle imprese. Si dimentica però che senza il lavoro né le famiglie né le imprese andrebbero avanti neanche un minuto. E io non credo che si tratti di una svista. È un progetto preciso. Vogliono cancellare il lavoro dal dibattito pubblico. Vogliono ridurlo a un argomento secondario e per di più vogliono convincerci che lavorare è un privilegio. E quando gli spieghiamo che il lavoro è un diritto ci sentiamo dire che tutto dipende dai mercati finanziari. I quali diventano una specie di entità oscura, impenetrabile come in alcuni film di fantascienza.

E invece no! I mercati finanziari sono opera dell’uomo. E oggi sono costruiti per arricchire una piccolissima parte della società: guarda caso quella che non lavora! Quella che dalla tastiera di un computer sposta fondi da un continente all’altro. Questo non è lavorare. È gioco d’azzardo. E quando qualcuno bara ecco le crisi. Che la politica fa pagare ai contribuenti perché le banche non possono fallire. Ciò significa che la competizione va bene quando riguarda il costo del lavoro. Ma quando riguarda il capitale finanziario le regole del gioco cambiano. Questo lo chiamo truffare. Truffare i cittadini e truffare i lavoratori.

Noi siamo qui in questa piazza perché siamo stanchi di essere truffati. Siamo qui in piazza per gridare che questo modello di società è sbagliato. È sbagliato e va cambiato. Noi siamo qui:

per rimettere il lavoro al centro del dibattito pubblico;

per rimettere il lavoro al centro dell’agenda politica;

per rimettere il lavoro al centro di un nuovo progetto di società.

La Festa del Lavoro, questa Festa del Lavoro, è la manifestazione di un popolo che vuole riprendere in mano il proprio destino. È la testimonianza di chi pretende dalla politica soluzioni reali per problemi reali.

Non vogliamo più avere a che fare con una politica che vive sulla luna, totalmente incapace di capire quali sono i nostri bisogni, i bisogni dei lavoratori, i bisogni delle persone comuni.  Non vogliamo più avere a che fare con politici e ministri che fanno solo gli interessi dei più forti. Non vogliamo più avere a che fare con politici e ministri che sforna un errore dietro l’altro.

Quali errori? Uno, per esempio, è di particolare gravità, la riforma del Codice degli appalti, dove praticamente si liberalizzano le forme peggiori di dumping per permettere alle imprese appaltatrici e subappaltatrici di applicare i contratti collettivi di comodo. Addirittura anche i contratti pirata. Quelli firmati dai sindacati gialli che giocano al ribasso sulla pelle dei lavoratori. Lo chiamano pluralismo sindacale. Io lo chiamo imbroglio. Che guarda caso va tanto d’accordo con un altro mito del neoliberismo: la semplificazione.

Dicono che servono regole più semplici per velocizzare le decisioni. Dicono che dobbiamo sbrigarci ad aprire i cantieri per non rischiare di perdere i soldi del PNRR. Anzi, oggi è di moda dire: “mettere a terra”. Ma con questo Codice degli appalti a terra ci finiscono i lavoratori perché bisogna correre, correre, correre. Bisogna sbrigarsi. Dicono che dobbiamo essere più produttivi, perché il problema dell’Italia è la scarsa competitività dovuta alla bassa produttività. Non produciamo abbastanza, non rendiamo abbastanza, evidentemente e non crepiamo abbastanza!

Solo dall’inizio di quest’anno siamo già a oltre 400 morti bianche. Per non parlare di migliaia di lavoratrici e lavoratori che si salvano per un pelo, che restano scioccati a vita, feriti, mutilati. Ma niente, la riforma del Codice degli appalti liberalizza i contratti di lavoro, riduce le clausole sociali, allarga a dismisura le maglie per gli affidamenti diretti. E le verifiche ispettive? Andranno concordate con i consulenti del lavoro delle aziende. Lascio a voi immaginare quale autonomia avranno gli Ispettori del lavoro.

Un’ altro esempio di scempiaggini della politica: la riforma fiscale. È una perla di democrazia, ma all’incontrario! Ma che società è questa, dove la progressività dell’imposizione fiscale viene ridotta ai minimi termini, in modo che i redditi più alti ricevano i benefici maggiori?

Ci hanno spiegato che è un passaggio necessario per arrivare alla flat-tax, cioè all’adozione di un’aliquota unica per tutti i redditi. La famosa tassa piatta. Industriali e grandi manager si stanno fregando le mani, non vedono l’ora: e lo credo bene! Pagheremo tutti allo stesso modo, dicono, e tutti guadagneremo qualcosa. Peccato che la tassa piatta incida in modo assai diverso sui redditi alti e su quelli medio-bassi. Il risultato è che qualcuno ci guadagnerà tantissimo, mentre noi, i pensionati, le persone comuni dovremo accontentarci delle briciole.

A queste scempiaggini possiamo aggiungere che l’Italia spende circa 7,3 miliardi di euro all’anno per le politiche attive, la formazione professionale, il sostegno all’occupazione e gli incentivi alle assunzioni nel settore privato. Se sommiamo la montagna di incentivi a fondo perduto che lo Stato, cioè tutti noi, ha versato al sistema industriale per far fronte alla crisi provocata dalla pandemia arriviamo a una cifra superiore a 100 miliardi di euro. E con quali risultati? La produzione industriale cresce, il PIL dell’Italia ha il segno più ma l’occupazione rimane al palo, e se aumenta leggermente, ma solo per effetto del precariato che il sindacato confederale combatte e combatterà sempre.

Come se non bastasse l’intera classe politica, ispirata dalla Banca d’Italia e dagli organismi finanziari internazionali, sposa la tesi secondo cui è sbagliato difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni, è sbagliato concedere aumenti salariali adeguati all’inflazione, perché altrimenti si innesca la rincorsa prezzi-salari. Quando si sentono cose di questo genere ci si rende conto di quanto sia sceso in basso il valore del lavoro nella mente di coloro che decidono della nostra vita.

Ma se pensano di poterci trattare come un gregge di pecore si sbagliano di grosso. Noi siamo un popolo! Siamo il popolo delle lavoratrici e dei lavoratori! Siamo consapevoli di ciò che siamo e di ciò che è giusto o sbagliato per noi. Siamo la gente che lavora e che con il proprio lavoro produce la ricchezza economica, culturale e umana del nostro Paese. E oggi, Primo Maggio 2023, Festa del Lavoro, noi in questa piazza di Bergamo ritroviamo il nostro orgoglio, il senso delle nostre lotte e della nostra storia.

Questa piazza deve essere un crocevia per rivendicare ciò che nella nostra Costituzione ci viene donato come l’art. 1 “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, e le persone che lavorano hanno diritto di coltivare la forza rivoluzionaria che l’intelligenza del lavoro possiede.

Il volto del cambiamento è nelle lavoratrici e lavoratori che difendono il loro posto di lavoro. La preoccupazione vera è quella degli studenti che si chiedono se il loro studio avrà risultati, dei giovani che preparano la valigia e si sentono costretti a diventare migranti, come i loro nonni. Per tutti loro, per tutti noi siamo qui oggi per un sistema che riconosca dignità alle persone.

Non lasceremo che la crisi e l’austerità mantengano questo Paese nella stagnazione e nella recessione. La legge di bilancio non ha cambiato verso, è stata costruita con qualche taglio in più e qualche bonus, ma questo non basta per cambiare strada, per ricostruire giustizia e uguaglianza.

Abbiamo fatto tante proposte, le cose da fare non mancano “Perché noi abbiamo una visione, un progetto per questo Paese”.

Noi chiediamo risorse per i rinnovi contrattuali e per un piano straordinario di assunzioni sufficienti a garantire livelli di assistenza fondamentali ai cittadini: salute, infanzia, sociale, sicurezza urbana e del territorio.

Noi chiediamo di superare il problema de tetti di spesa e dei vincoli che esistono per legge e che limitano la contrattazione e lo sviluppo della contrattazione decentrata e lo chiediamo dal 2016, ma neanche in questa legge di bilancio sono superati.

Vogliamo attenzione per le donne e strumenti per la conciliazione dei tempi lavoro famiglia, la nostra Costituzione dice che il governo deve stare dalla parte dei più deboli, non di chi è già forte. Quando si tolgono le regole si dà l’idea che il lavoratore è una macchina: invece è una persona, ha i propri diritti dentro e fuori i luoghi di lavoro.

Se siamo e vogliamo continuare ad essere una Repubblica democratica fondata sul lavoro, il lavoro deve essere il valore sociale che orienta le scelte politiche.

Compagni e amici, ieri come oggi vogliamo una società fondata sull’equità, sulla giustizia, sull’uguaglianza. E vogliamo un futuro costruito sul lavoro, per noi e per i nostri figli. Trent’anni di politiche neoliberiste ci hanno tolto la speranza di un mondo migliore. È arrivata l’ora di tornare a sperare e lottare per realizzare i nostri sogni.

 

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Bergamo, 1° Maggio 2023

 

RASSEGNA STAMPA PRIMO MAGGIO A BERGAMO

 

L’ECO DI BERGAMO – Primo Maggio, in duemila al corteo a Bergamo: «Più lavoro e più stabile»

 

L’ECO DI BERGAMO – Interviste video

 

MYVALLEY.IT – Il primo maggio a Bergamo, in migliaia per un lavoro nel segno della Costituzione

 

BERGAMONEWS – Per un lavoro più sicuro e stabile: a Bergamo in 2.000 in piazza per il Primo Maggio

 

ANTENNADUE TV – Primo Maggio, in migliaia a Bergamo con Cgil Cisl e Uil

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