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Perché le carceri italiane esplodono
Intervista a Gennarino De Fazio

Gennarino De Fazio, Segretario generale UILPA Polizia Penitenziaria

In questo ultimo scorcio dell’anno le carceri italiane sono state scosse da un’impressionante serie eventi: la sommossa nel carcere minorile di Bologna; la morte di un detenuto nel carcere Marassi di Genova; sempre nello stesso carcere l’aggressione di alcuni detenuti a due agenti della polizia penitenziaria; il giorno di Natale l’evasione di sette ragazzi dal “Beccaria”, l’Istituto Penale per minorenni di Milano; infine, il 26 dicembre sono state lanciate delle bombe molotov nel parcheggio di Rebibbia femminile. Ce n’è abbastanza per dire che la situazione è esplosiva. Proviamo a comprenderne le cause con Gennarino De Fazio, Segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria.

 

Per quanto scontata la prima domanda è d’obbligo: cosa sta succedendo nelle carceri italiane?

 

Sta succedendo quello che purtroppo accade con discreta regolarità. Certo, l’evasione di ben sette detenuti dal carcere di Milano non è una cosa di tutti i giorni. Ma non è certo questa la prima evasione. Per restare nel periodo delle festività basti ricordare che durante lo scorso capodanno ci fu una duplice fuga dal carcere di Vercelli. Allo stesso modo, quasi ciclicamente si verificano una serie di eventi critici che vanno dalle aggressioni fisiche agli operatori alle vere e proprie sommosse. Quindi, nulla di nuovo sotto il sole. La situazione nelle carceri italiane è sempre sotto tensione e ogni tanto assistiamo a esplosioni come quelle di questi ultimi giorni.

 

Perché la stampa si interessa del mondo carcerario solo quando accadono fatti clamorosi?

 

Perché è più facile occuparsi di eventi sensazionali, come appunto l’evasione di sette detenuti, che non dell’ordinaria amministrazione. Anche se l’ordinaria amministrazione di un mondo come quello carcerario è piena di pesanti criticità da cui poi scaturisce il fatto eccezionale. Penso che l’informazione dovrebbe essere maggiormente costante e che non dovrebbe limitarsi a un articolo di circostanza se evade un detenuto, mentre si riempiono le prime pagine se ne evade qualcuno in più. L’evento è lo stesso e l’attenzione mediatica non dovrebbe variare in base al dato quantitativo. Lei vedrà che se nei prossini giorni la situazione carceraria italiana non farà registrare altre proteste o evasioni l’attenzione dei media si spegnerà, mentre i problemi delle carceri resteranno intatti.

 

In recenti interviste lei ha invitato i suoi interlocutori a non parlare con troppa facilità di ragazzi evasi. Può spiegare anche a noi perché?

 

Per un motivo molto semplice di cui anche l’opinione pubblica sta finalmente iniziando a essere informata. E cioè che nelle carceri minorili non ci sono solo minori. Come si è giunti a questo paradosso? Bisogna partire dal 2013, quando la Corte europea dei diritti umani condannò l’Italia per il trattamento inumano e degradante a causa del sovraffollamento del carcere in cui era costudito. Mi riferisco alla famosa sentenza Torreggiani. Uno dei modi con cui si aggirò il problema del sovraffollamento nel circuito carcerario per adulti fu di modificare nel 2014 il Codice di procedura penale e permettere l’esecuzione della pena negli istituti per minorenni fino al compimento del venticinquesimo anno di età. Ecco perché invito chi mi intervista a non parlare solo di ragazzi.

 

A quanto risulta le condizioni di vita nelle carceri, che a questo punto solo per comodità di esposizione possiamo definire minorili, non sono affatto delle migliori.

 

Esatto. Alla presenza di adulti nelle carceri minorili vanno aggiunti diversi fattori critici come, ad esempio, la penuria di operatori e il fatto che non ci siano sempre adeguate attività che possano tenere impegnati i detenuti, maggiorenni o minorenni che siano. In situazioni del genere è evidente che non si può ottemperare alla completa realizzazione del dettato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Ecco perché si sviluppano le tensioni che in questi giorni abbiamo visto a Bologna e a Milano. Tensioni che però troviamo praticamente ovunque nel sistema carcerario italiano.

 

Quali sono le principali indicazioni del sindacato per risolvere le tante criticità che lei ha denunciato?

 

Tutto il sistema di esecuzione penale va reingegnerizzato e in particolare quello detentivo. Come? Ottemperando a quanto già previsto dall’ordinamento penitenziario. Il che significa realizzare dei circuiti interni alle carceri suddivisi per tipologia di detenuto anche in relazione alla fascia di età. In questo caso ci dovrebbero essere circuiti per adulti, per giovani adulti e per minorenni. Inoltre, i condannati dovrebbero essere separati da chi è ancora in attesa del primo grado di giudizio e dunque presuntivamente innocente. Invece la situazione è di assoluta promiscuità. Lei pensi che si può arrivare a situazioni di questo tipo: un ragazzo che ha appena compiuto 18 anni può finire in carcere con delinquenti incalliti di 50, 60 anni e oltre, magari pluriomicidi; un detenuto la cui esecuzione della pena inizia a 24 anni, ma ha commesso il reato quando era minorenne, è assegnato a un carcere minorile.

 

Sul fronte degli organici della Polizia Penitenziaria cosa andrebbe fatto?

 

Innanzitutto una politica di assunzioni. Lei consideri che mancano 18mila unità su 36mila presenti. Mi pare un dato che non ha bisogno di commenti per descrivere le difficoltà in cui lavorano gli operatori. Aggiunga poi che spesso le carceri non hanno un direttore e altrettanto spesso non hanno un comandante della Polizia Penitenziaria. Addirittura talvolta nello stesso carcere mancano entrambe le figure. Da questi pochi dati mi pare risulti evidente che sul piano del personale versiamo in una condizione di assoluta emergenza.

 

Cosa sta facendo il governo per affrontare questa emergenza?

 

Cosa vuole che le dica? Le affermazioni del ministro e di altri esponenti della maggioranza non coincidono con la realtà dei fatti.  Al momento la realtà dei fatti ci dice che la legge di bilancio prevede dei tagli nei confronti dell’amministrazione penitenziaria: 36 milioni nei prossimi tre anni. Gran parte di questi tagli riguardano il salario accessorio della Polizia Penitenziaria che è stato finanziato tramite i rinnovi contrattuali. Mi spiace usare parole forti, ma mi sembra che siamo dinanzi a un furto di stato. Non basta. Dopo venticinque anni che non si teneva un concorso per direttore di carcere finalmente ne è stato bandito uno. Ma ecco l’ennesimo paradosso: la legge di bilancio prevede che coloro che si trovano in graduatoria possano andare a lavorare nei tribunali. Insomma è come se lei facesse un concorso per le poste e poi finisse per trovarsi nella scuola.

 

Dinanzi all’atteggiamento del governo la sua categoria sindacale cosa ha intenzione di fare nei prossimi mesi?

 

Va detto innanzitutto che il nuovo governo si è imbattuto in una legge di bilancio in gran parte già scritta. Questo non lo esenta da responsabilità, ma è chiaro che i tempi ristretti per l’approvazione non hanno concesso grandi spazi di manovra. Perciò il nostro auspicio è che già a gennaio il Ministero della Giustizia apra un confronto con le organizzazioni sindacali. Se non ci fosse questa disponibilità studieremo delle forme di sensibilizzazione che spingano il governo al dialogo. Un dialogo costruttivo per individuare insieme le soluzioni ai problemi dell’amministrazione penitenziaria e che ormai non sono più rinviabili.

 

A cura dell’Ufficio comunicazione UIL Pubblica Amministrazione

 

Roma, 29 dicembre 2022