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Nota UIL. Rapporti ISPRA Rifiuti speciali e Bilancio idrologico nazionale

In questi giorni, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha pubblicato due documenti su  altrettanti settori chiave: il “Rapporto Rifiuti Speciali Edizione 2023” (scaricabile, con i relativi allegati, al link ) e il “Bilancio idrologico nazionale. Aggiornamento al 2022” (il cui download è possibile a questa pagina web ).

 

I dati del “Rapporto Rifiuti Speciali” sono aggiornati all’anno 2021 e dimostrano che, dopo il fermo delle attività economiche dovuto alla crisi pandemica, è stata registrata una crescita significativa nella produzione dei rifiuti speciali, che hanno raggiunto i 165 milioni di tonnellate. La ripresa nei settori industriale, artigianale e dei servizi – conseguenza della cessazione (inizialmente parziale) della diffusione del Covid-19 – ha fatto quindi segnare un incremento dei rifiuti generati dalle attività produttive. Quasi la metà di essi (47,7%) proviene dalle attività di costruzione e demolizione, tipologia per la quale, tuttavia, risulta significativa anche la percentuale di riciclo (80,1%), che supera ampiamente l’obiettivo del 70% fissato al 2020 dalla Direttiva europea 2008/98/CE. Il recupero, invece, riguarda in prevalenza la produzione di rilevati e sottofondi stradali.

 

In generale, dal report emerge che la gestione dei rifiuti speciali, sul territorio italiano, viene attuata da oltre diecimila impianti (5.928 situati al Nord, 1.899 al Centro e 2.936 al Sud). Si recupera materia dal 72,1% degli speciali e solo il 5,7% del totale gestito prevede lo smaltimento in discarica (10,2 milioni di tonnellate). In tal senso, le regioni più virtuose sono Lombardia (37,4 mln di tonnellate), Veneto (18 mln) ed Emilia-Romagna (14,6 mln); al Centro, la maggiore produzione si colloca nel Lazio (10,2 mln), mentre al Meridione avviene in Puglia (11,4 mln).

 

Il “Bilancio idrologico nazionale” (aggiornato al 2022), invece, è stato pensato con uno specifico focus sulla siccità e sulla disponibilità naturale della risorsa idrica rinnovabile.

 

Il documento informa che l’anno scorso, con 67 miliardi di metri cubi, la disponibilità di risorsa idrica annua ha raggiunto il minimo storico in Italia, facendo registrare una diminuzione di ben il 50% rispetto alla media del trentennio climatologico 1951-2020 e un abbassamento di ulteriori due punti percentuali rispetto alla media di lungo periodo (1951-2022).

 

I distretti idrografici della Sicilia, della Sardegna, e del Fiume Po (con un deficit, rispettivamente, dell’80,7%, del 73% e del 66%) sono stati i più colpiti dalla penuria idrica nel 2022. Su scala annuale, inoltre, la siccità dell’anno passato – che, in alcune aree della Penisola, si è manifestata già a fine 2021, perdurando, in certi casi, fino ai primi mesi del 2023 – è stata la terza per gravità e persistenza dal 1952 a oggi, preceduta solo da quelle del 1990 e del 2002. In aggiunta a ciò, la quota di evapotraspirazione rispetto alla precipitazione ha raggiunto quasi il 70%, rispetto a una media di lungo periodo del 53%, attestandosi come il valore più alto mai registrato dal 1951 ad oggi. Le analisi mostrano che, ove si consideri come indicatore di gravità la percentuale di territorio nazionale che è stata soggetta, durante lo stesso periodo di riferimento, a siccità estrema, il 2022 è stato il sesto anno più secco in Italia dal 1952.

 

L’uscita di entrambi i rapporti costituisce l’occasione per ricordare che, su temi di così ampia rilevanza, è necessario che il Governo coinvolga pienamente anche le Parti Sociali, perché parliamo di tematiche che hanno non solo un forte impatto sui cittadini e sulle comunità, ma anche e soprattutto sul mondo del lavoro e includono la richiesta sempre più forte di nuove figure professionali (i c.d. green jobs). Tanto sui rifiuti quanto sulla tutela del bene acqua, il Governo non può continuare ad intervenire solo in fase emergenziale, ma occorre che adotti una nuova visione di sviluppo e attenzione per investire su tutto il sistema dell’informazione, della salvaguardia e della prevenzione.

 

La Transizione ecologica che l’Italia e tutto il “Vecchio continente” stanno affrontando, accompagnata da finanziamenti concreti per mitigare gli effetti del clima che cambia e massimizzare la gestione delle risorse idriche, può migliorare la resilienza climatica delle comunità e creare posti di lavoro di qualità, ma è necessario un suo miglioramento in tempi rapidi.
Bisogna agire adesso, anche mediante l’utilizzo corretto dei fondi messi a disposizione dall’Unione Europea, e promuovere una grande campagna culturale che tenga alta l’attenzione di ognuno sulle tematiche legate all’ecosistema comune. La Giusta Transizione non si deve tramutare, come purtroppo sta accadendo, in un alibi per rimandare scelte e investimenti, ma deve essere l’emblema di un’azione rapida ed efficace, che abbia come obiettivi centrali la crescita sostenibile e l’occupazione.

 

Tiziana Bocchi, Segretaria confederale UIL