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Memoria audizione UIL sul salario minimo

MEMORIA UIL IN MERITO ALL’AUDIZIONE INFORMALE NELL’AMBITO DELL’ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1275 CONTE, C. 141 FRATOIANNI, C. 210 SERRACCHIANI, C. 216 LAUS, C. 306 CONTE, C. 432 ORLANDO, C. 1053 RICHETTI E C. 1328 BARELLI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GIUSTA RETRIBUZIONE E SALARIO MINIMO PRESSO LA COMMISSIONE XI (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI 8 NOVEMBRE 2023

 

Egregi Onorevoli,

prima di tutto, la UIL vuole ringraziare Codesta Commissione per aver convocato i rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali nell’ambito della discussione in materia di giusta retribuzione e salario minimo.

Il dibattito politico-sindacale nel nostro Paese, in riferimento all’argomento in oggetto, ha avuto un nuovo momento di particolare risalto a seguito dell’Assemblea del CNEL del 12 ottobre u.s., in seno alla quale è stato approvato – e successivamente consegnato al Governo – un documento di osservazioni e proposte in tema di lavoro povero e salario minimo.

Riteniamo opportuno, anche in ambito istituzionale, sottolineare le motivazioni che hanno portato la UIL a formulare un voto contrario rispetto alle linee guida e alle decisioni prese dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.

Abbiamo partecipato al dibattito, che si è svolto in due fasi, in modo attivo e propositivo. Nella prima fase della discussione tecnica di studio e di approfondimento dei dati abbiamo condiviso parte delle analisi sui punti di riferimento da adottare nell’ambito delle diverse disamine effettuate e messi a disposizione attraverso gli studi finora redatti (Istat, Banca d’Italia, Ministero del Lavoro, Inps), pur sottolineando l’eccessiva eterogeneità delle banche dati utilizzate e, quindi, l’eventuale distorsione dei risultati.

Tuttavia, è stata soprattutto la discussione sulla seconda fase del confronto – quella propositiva – che ha registrato il nostro dissenso, portandoci a votare contro il documento poi approvato dal Cnel, (con 39 voti favorevoli e 15 contrari). Non abbiamo condiviso le netta contrapposizione sottolineata tra salario minimo e contrattazione collettiva, inesistente a nostro avviso, come peraltro dimostrato dalla pratica diffusa nella quasi totalità dei Paesi Europei, senza pregiudizio per le retribuzioni.

La posizione della nostra Organizzazione sul tema del salario minimo è nota (perché partecipata alla Camera dei deputati in sede di audizione il 12 Aprile 2023) e punta a considerare come salario minimo i trattamenti tabellari dei Contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle Organizzazioni maggiormente rappresentative, nella consapevolezza dell’urgenza di fornire una risposta alle aree particolarmente deboli, in cui gli stessi Ccnl non riescono ad assicurare una retribuzione sufficiente e dignitosa, e per le quali riteniamo indispensabile fissare un trattamento minimo di legge.

Il dibattito in seno al Cnel avrebbe potuto costituire una utile occasione per riflettere su come sarebbe meglio intervenire al fine di tutelare i salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani e, più in generale, su come rilanciare una concreta azione per il loro incremento, dopo che la grave crisi inflazionistica ancora in atto, unitamente al rallentamento della crescita economica a livello globale, ha contribuito ad erodere il potere d’acquisto di tutte le cittadine e dei cittadini.

Aumentare i salari, soprattutto in questa fase storica, è l’elemento chiave della nostra azione sindacale, che mira al contempo a far ripartire il mercato interno, sul quale continua ad insistere oltre l’80% delle imprese italiane, e con esso la produzione e l’occupazione.

Come Uil, ci battiamo da sempre affinché la grande questione salariale sia fra le priorità dell’agenda politica di un Paese come il nostro, che soffre di lavoro povero e sottopagato, e di una sempre maggior frequenza di part- time involontari e di lavoro nero e sommerso.

Rispetto al dibattito avvenuto presso l’altro ramo del Parlamento qualche anno fa, i contenuti degli ultimi testi oggetto del confronto odierno rappresentano un’evoluzione che consideriamo positiva. Apprezziamo, infatti, la volontà di voler garantire il principio costituzionale della giusta retribuzione, attraverso il rafforzamento della Contrattazione Collettiva, con riferimento ai CCNL sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative. Siamo consapevoli che, in questo, una spinta notevole è arrivata dall’Unione Europea. Le stesse indicazioni provenienti dalla Direttiva Ue sui salari minimi adeguati n. 2022/2041, pubblicata il 25 ottobre scorso sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione, promuovono, infatti, esplicitamente la Contrattazione Collettiva come strumento fondamentale per garantire un’adeguata protezione salariale in tutti gli Stati Membri. In tal senso, diviene necessario chiarire che la Direttiva non intende stabilire un riferimento numerico minimo delle retribuzioni, armonizzare il livello dei salari minimi nell’Unione Europea o istituire un meccanismo uniforme per la determinazione degli stessi. Quello prefigurato dal testo normativo non è, quindi, un salario minimo omogeneo per l’intero territorio europeo. L’obiettivo principale della Direttiva UE è, infatti, stabilire un quadro di riferimento per migliorare l’adeguatezza dei salari minimi legali e l’accesso effettivo delle lavoratrici e dei lavoratori alla tutela dei salari minimi, soprattutto attraverso la Contrattazione Collettiva.

Come Uil, abbiamo appoggiato fin da subito tale proposta normativa, lavorando per migliorarne le disposizioni attraverso l’intermediazione della CES (Confederazione Europea dei Sindacati), al fine non solo di sostenere l‘aumento dei salari in tutta Europa, ma anche per combattere il dumping salariale fra i Paesi membri, contrastare le delocalizzazioni selvagge, che negli ultimi decenni hanno consentito una destrutturazione del nostro sistema produttivo nonché dei servizi, e soprattutto per rafforzare la Contrattazione Collettiva, particolarmente laddove vi sia una copertura della stessa al di sotto dell’80%.

In tale ipotesi, la Direttiva prevede, infatti, che, previo coinvolgimento delle Parti sociali, debba essere definito e implementato un piano d’azione che – reso pubblico e notificato alla Commissione Europea- stabilisca un calendario chiaro e misure concrete per aumentarne progressivamente il tasso di copertura, nel pieno rispetto dell’autonomia delle Parti sociali.

Per noi i Contratti Collettivi Nazionali sottoscritti dai Sindacati maggiormente rappresentativi sono lo strumento essenziale per aumentare i salari nei diversi settori economici, nonché per migliorare le condizioni di lavoro e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, garantendo un’equa redistribuzione della ricchezza. I Ccnl rappresentano il riferimento giuridico, in attuazione dell’articolo 36 della Costituzione, per determinare la “retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” dei diversi comparti produttivi. Nel nostro Paese, la Contrattazione Collettiva nazionale non ha perso la propria efficacia generale e i campi di applicazione di tutti i Ccnl ci permettono, ad oggi, di affermare che ogni attività economica e ogni lavoratore/trice subordinato/a è coperto/da un Ccnl di riferimento; e che anche le lavoratrici e i lavoratori a termine e in somministrazione godono delle stesse tutele retributive delle colleghe e dei colleghi assunti a tempo indeterminato. Infatti, dall’analisi dell’archivio del CNEL al 22 dicembre 2022, in merito alla copertura si evidenzia che su 894 CCNL applicati, 207 CCNL (23,2%) sottoscritti da CGIL CISL UIL coprono 13.366.176 lavoratori (96,6 %), e 687 (76,8 %) firmati dalle altre Organizzazioni Sindacali sono applicati a 474.755 lavoratori (3,4 %).

Allo stesso tempo, siamo consapevoli che alcuni problemi evidenti del nostro sistema contrattuale – fra questi, la proliferazione del numero dei contratti pirata e la sovrapposizione di più contratti collettivi nello stesso ambito di attività, la forte evasione ed errata applicazione contrattuale, il lavoro sommerso – sono in aumento e frenano la crescita di tutto il Paese.

Per la nostra Organizzazione, è fondamentale un intervento normativo che garantisca l’erga omnes contrattuale, al fine di rafforzare e ampliare le disposizioni economiche e normative previste dai CCNL sottoscritti dalle OO.SS più rappresentative. Considerando, altresì, che esiste già una normativa settoriale che può fungere da esempio. È il caso dei soci lavoratori di cooperativa con quanto sancito dall’articolo 7 comma 4 del decreto legge 31 dicembre 2007 n. 248, che prevede “che in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria”. La legittimità di tale norma è stata anche sancita dalla sentenza n. 51 anno 2015 della Corte costituzionale. Inoltre, per l’accreditamento della contribuzione si afferma, nell’articolo 1 comma 1 del decreto legge 9 ottobre 1989 n. 338, che “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”. Ed è proprio questa, a nostro avviso, la via necessaria da percorrere. Contestualmente, riteniamo, che una legislazione di sostegno debba anche assicurare l’individuazione di una soglia minima di garanzia al di sotto della quale il salario non possa scendere, e garantire che sia complementare al sistema contrattuale. Consideriamo, quindi, necessaria una misura, quella del salario minimo, inserita nel quadro della generale contrattazione confederale, che si riferisca a fattispecie particolari e che venga adeguata nel tempo non in modo automatico, ma secondo procedure che vedano il ruolo determinante delle Parti sociali, così come avviene in diversi contesti europei.

Entrando nel merito delle proposte di legge presentate, un concreto passo in avanti, ben evidente, è la valorizzazione dei Trattamenti Economici Complessivi (TEC), per tutti i CCNL e non solo per i settori afferenti a Confindustria. Le attuali retribuzioni delle/i lavoratrici/tori italiani non sono, infatti, costituite meramente dai minimi tabellari ma sono composte da più voci retributive (13^ e in alcuni casi 14^ mensilità; dinamiche retributive dei livelli di inquadramento, maggiorazioni per prestazioni orarie o di altro tipo; ferie; indennità; EDR ed altri voci e premi retributivi settoriali di carattere nazionale) e da ulteriori tutele normative che risultano essere sostanziali e fondamentali per un dignitoso rapporto di lavoro (tutele per malattia, maternità, infortuni superiori a quelle di legge; riduzioni di orario contrattuale; erogazione di un welfare previdenziale e sanitario diffuso e significativo). Tuttavia, nei ddl in esame non è chiara la stessa definizione di TEC, indicatore il cui valore economico è di esclusiva competenza delle Parti contraenti e non può essere, di conseguenza, oggetto delle tante Commissioni di cui abbiamo letto, così come non può essere deciso da una Legge, ovvero legato ad incrementi automatici, poiché le voci che lo compongono sono definite in modo specifico per ogni comparto produttivo a seconda del ciclo economico del momento. Inoltre, avanziamo delle critiche in merito al contenuto della proposta C.1328 di Forza Italia. Riteniamo infatti che, contrariamente all’intento dichiarato, destruttura e indebolisce la Contrattazione Collettiva.

In generale, invece, ancora rispetto alla valutazione di adeguatezza dei trattamenti salariali stabiliti nei contratti collettivi nazionali di lavoro, una volta chiarite le reali dimensioni del fenomeno dei c. d. contratti pirata, un ulteriore problema del nostro sistema contrattuale resta quello dei tempi sempre più lunghi di rinnovo dei CCNL. L’ISTAT ci informa che il tempo medio è aumentato a quasi 34 mesi di attesa. Ci sono casi specifici in cui la situazione è ancora più grave.

Per esempio, il CCNL Vigilanza Privata e servizi di sicurezza, che copre oltre 100.000 addetti, è in attesa di rinnovo da sette anni. Il CCNL del Commercio Confcommercio è scaduto nel 2018 e copre quasi 3 milioni di lavoratrici e lavoratori. Il 12 dicembre 2022 è stato sottoscritto in questo settore, in cui s’inserisce anche la grande distribuzione, un Accordo ponte che garantisce una tantum di 350 euro riparametrata per i livelli d’inquadramento e suddivisa in due tranche, e un anticipo sui minimi di 30 euro, che avrebbe dovuto coprire solo i mesi del 2023 in attesa del rinnovo.

Per non parlare del settore turistico, in cui, oltre la lunga scadenza, si registra la maggiore elusione contrattuale, soprattutto nei servizi di pulizia in appalto. Non si tratta solo di un problema di minimi tabellari, molte denunce riguardano le ore di supplementare e straordinario non registrate, la gestione arbitraria di permessi e ferie, la scarsa attenzione alla sicurezza, le pressioni sulle lavoratrici in maternità. Ecco perché un sistema garantista contrattuale è da difendere strenuamente, senza doverne rischiare una fuoriuscita, soprattutto in un sistema produttivo come il nostro, formato da piccole e piccolissime imprese.

Per questa ragione, apprezziamo la proposta di definire un quadro di penalizzazioni per sostenere i rinnovi dei Contratti Collettivi all’interno di una tempistica congrua con i percorsi negoziali. Per esempio, attraverso la limitazione all’accesso a incentivi, quali benefici economici, fiscali e contributivi. Lo stesso affidamento di appalti e convenzioni deve avere come condizionalità, oltre all’applicazione dei Contratti Collettivi coerenti con l’ambito di attività, il loro rinnovo nei tempi ben definiti.

Per concludere, è evidente che viviamo oggi una stagione eccezionale che impone di affiancare misure emergenziali a quelle di medio e lungo periodo. Si tratta di una questione di metodo e di buona politica. Nella proposta di manovra economica non vi è stata nessuna risposta adeguata alla emergenza di tenuta dei salari e delle pensioni. Nessuna detassazione, come era stato chiesto dal Sindacato, su tredicesima e aumenti contrattuali. Solo nei ddl in discussione vi sono riferimenti ad agevolazioni fiscali, che abbiamo apprezzato, perché ricordiamo che il reale Cuneo fiscale e contributivo nel settore privato è pari al 60%, molto più alto del dato OCSE che si attesta nel 2021 al 46,5%.

Vi sono ulteriori obiettivi futuri sui quali è necessario lavorare per superare questa stagnazione salariale ormai duratura: occorre fare i conti con i cambiamenti digitali intervenuti nel mondo del lavoro e nei modelli organizzativi, allargando le tutele e i diritti, in particolare negli appalti, contrastando la precarietà e riconoscendo il valore del lavoro attraverso interventi sulla formazione e sull’inquadramento professionale. E tutto questo è solo la punta dell’iceberg, perché appare quantomai necessario iniziare ad affrontare tutta una serie di elementi di distorsione del mercato del lavoro italiano che, a prescindere dal salario minimo, concorrono ad aumentare il lavoro povero nel nostro Paese. Sono tutti elementi noti sui quali non occorrono dati aggiuntivi, a partire dal mal funzionamento dei tirocini extra-curriculari, dall’utilizzo senza freni del part-time involontario (che tocca il 65% degli occupati parziali in Italia), dalle aree grigie della parasubordinazione.

La Uil è disponibile ad avviare un confronto di merito su tutte queste complesse dinamiche. Inoltre, occorre ripensare, insieme alle forze politiche, un vero progetto di politica industriale che sia in grado di dare nuova linfa al nostro sistema produttivo e di renderlo competitivo non solo nell’oggi, ma anche per i prossimi anni. Perché la difesa del salario passa anche attraverso questo.

La nostra Organizzazione ritiene sia fondamentale tornare ad investire risorse, pubbliche e private, nell’economia reale. Perché è lì che il lavoro si genera ed è, dunque, lì che la responsabilità anche sociale del Paese deve tornare a giocare un ruolo importante. Il PNRR può essere una grande occasione per i territori con desiderio di crescere e svilupparsi, di sanare divari con radici antiche. Siamo infatti convinti che si debbano costruire quelle precondizioni necessarie affinché si possa realmente fare impresa nel nostro Paese.

 

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