Le Segreterie Territoriali Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uilpa di Lecce, Brindisi e Taranto non parteciperanno all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario come forma di protesta per sottolineare le condizioni di lavoro del Personale Giudiziario.
Un personale giudiziario, che costantemente è in emergenza e in affanno, mal retribuito, mal gestito, poco valorizzato e spesso e volentieri vessato e mortificato.
Sono donne e uomini, che operano quotidianamente tra difficoltà di ogni genere. Sono le persone e le loro storie a contare, persone che in assenza di mezzi adeguati, di spazi a norma, di mancato rispetto delle norme e degli istituti contrattuali e con un organico assolutamente insufficiente ed anagraficamente condizionato dall’età, garantiscono un servizio costituzionalmente previsto.
Tutti hanno grande grande preoccupazione per i ritardi ormai ricorrenti e cristallizzati, che nel corso degli anni hanno indebolito la “macchina” Giustizia, una Amministrazione con ben cinque Dipartimenti, dove regnano politiche gestionali diverse pur appartenendo a un unico Ministero.
Un tempo poteva dirsi esserci una prossimità dello Stato verso il cittadino, con l’esistenza di presidi di uffici giudiziari, che compiutamente assolvevano al ruolo primario di garantire servizi della giustizia al cittadino anche e soprattutto in realtà distrettuali fortemente connotate dal grave problema dell’incidenza criminale e mafiosa.
Come rappresentanti dei lavoratori abbiamo sempre sostenuto che tale tentativo di accentramento avrebbe generato risultati negativi, con ricadute fallimentari sotto tutti i punti di vista:
- la situazione logistica che non permette al personale di lavorare in spazi e condizioni decenti;
- la distanza dell’istituzione dal cittadino, al quale oltre la difficoltà a raggiugere un ufficio giudiziario, con spese di viaggio e parcheggio, è stato aumentato il contributo unificato per accedere ai servizi;
- la perdita dell’economia indotta in quei comuni che hanno subito la chiusura degli uffici giudiziari;
- la perdita dei posti di lavoro pubblici e privati.
La Pubblica Amministrazione sta generando precarietà di rapporti di lavoro e l’Amministrazione
Giudiziaria ne è un chiaro esempio, basti ricordare gli operatori giudiziari, gli 8171 UPP, i 5431
Data entry e altre professionalità, spesso utilizzane non ai fini del raggiungimento degli obiettivi del PNRR ma a sostegno del segreteria del personale, alla chiusura di fogli notizie, al recupero crediti, alla volontaria giurisdizione o ad altre attività che nulla hanno a che fare con l’ufficio del processo.
Ancora un altro aspetto sono le relazioni sindacali, dovrebbero esistere corrette relazioni sindacali, in un Ministero che amministra la Giustizia, ma a volte assistiamo a trattative, in sede locale, dove la controparte nemmeno conosce gli accordi siglati a livello centrale. E’ palese in molti casi la tentazione di non volersi confrontare anche se previsto dal dettame contrattuale.
Cgil, Cisl e Uil hanno sempre evidenziato e chiesto con fermezza e continuità, il rispetto degli accordi sottoscritti e mai applicati o, in alcuni casi, mai avviati.
Dalla grave carenza di personale alla disorganizzazione degli uffici, centrali e periferici, dalla digitalizzazione dei servizi in massima parte rabberciata, nonostante le ingenti risorse economiche investite, alla penuria di strutture idonee e di risorse materiali sufficienti ad assicurare i servizi istituzionali hanno determinato l’attuale grave condizione del Ministero della Giustizia.
La approssimata gestione del personale e delle relazioni sindacali negli ultimi anni ha avuto come risultato che
- circa diecimila progressioni economiche in favore dei lavoratori della Giustizia rimangono inspiegabilmente bloccate;
- molti lavoratori non hanno ancora percepito il salario accessorio del 2019 mentre il salario accessorio degli anni 2020 e 2021 resta fermo al palo;
- gli accordi stipulati presso l’organizzazione giudiziaria sono stati tutti sistematicamente disattesi (è il caso dell’accordo sul transito di 270 ausiliari in area seconda, figura professionale dell’operatore giudiziario, sottoscritto il 29.7.2010; dell’accordo sulle progressioni giuridiche, dentro e tra le aree, sottoscritto il 26.4.2017 e recepito nel DM 9.11.2017 il quale ha previsto, tra l’altro, il transito degli ausiliari in area seconda, il passaggio dei contabili, degli assistenti informatici e linguistici in area terza ex art. 21 quater L. 132/15, lo scorrimento integrale delle graduatorie formate ex art. 21 quater
- 132/15 per funzionari NEP, i cambi di profilo all’interno delle aree; dell’accordo di mobilità sottoscritto il 15 luglio 2020);
- rimangono completamente disattese le norme di prima applicazione del CCNL Funzioni Centrali 2019/2021, sottoscritto lo scorso 9 maggio, le quali, in particolare, prevedono la definizione delle famiglie professionali,
- rimane inevasa la richiesta di apertura del tavolo negoziale per la definizione del nuovo Contratto Collettivo Nazionale Integrativo del Ministero della Giustizia.
Inoltre rimangono aperte le seguenti vertenze:
- La vertenza ufficiali giudiziari: gli uffici NEP sono stati esclusi deliberatamente e colpevolmente dalla digitalizzazione dei processi, non è stata realizzata la ricomposizione in area terza delle figure professionali dell’Ufficiale Giudiziario e del Funzionario UNEP ex art. 21 quater L. 132/2015.
- La vertenza del personale informatico (funzionari ed assistenti informatici) questi lavoratori chiedono il rispetto del diritto alla mansione, del diritto alla sede di lavoro, il riconoscimento degli incentivi previsti dal codice degli appalti.
- La vertenza dei lavoratori precari che investe non soltanto gli operatori giudiziari a tempo determinato rimasti esclusi dalla stabilizzazione, ma tutti i lavoratori assunti con i fondi del
PNRR. Bisogna stabilizzare i Funzionari dell’Ufficio per il Processo, e insieme a loro la permanenza dell’Ufficio del Processo ben oltre la scadenza del 2026.
La mancata partecipazione, da parte delle organizzazioni sindacali confederali, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, va declinata correttamente senza scomodare possibili strumentalizzazioni politiche, senza interpretare la stessa come una ulteriore chiusura al confronto, confronto peraltro sempre auspicato e sollecitato da parte delle organizzazioni sindacali non solo a livello nazionale ma anche nell’ambito del distretto di Corte d’Appello.
È una protesta che mira ad affermare il senso democratico di espressione in un contesto che ha spesso emarginato il ruolo del Sindacato e il mandato stesso ad esso affidatogli dal personale di questa delicata e importante realtà lavorativa.
Un Paese dove non si garantisce appieno la qualità del servizio, il rispetto degli accordi, condizioni di lavoro dignitose, ma soprattutto la dignità delle lavoratrici e lavoratori della “Giustizia”, non può essere definito un Paese democratico.