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La UIL, l’equità fiscale e il riformismo italiano

di Roberto Campo – Presidente dell’Istituto degli Studi Sindacali della Uil

“La riforma fiscale è la chiave per la ricostruzione economica del Paese”. Comincia così il bell’articolo di Domenico Proietti sulla riforma fiscale che dovrebbe essere la più importante tra quelle che accompagneranno il piano italiano di ripresa nell’ambito del Next Generation EU. Quanta strada è stata fatta per arrivare oggi ad una sensibilità comune delle tre organizzazioni sindacali confederali circa la centralità della questione fiscale. Non fu così quando la UIL per prima pose, nel 1984, il problema, con due clamorose iniziative, intitolate “Io pago le tasse. E tu?”

La prima si svolse a Roma, il 26 giugno; la seconda, a Milano il 20 novembre: segnarono l’esordio del tema del fisco nel sindacato italiano. Ma la UIL rimase a lungo da sola a parlarne e a denunciare un’evasone sistematica diventata, come riconobbe anche il Ministro delle Finanze Bruno Visentini, “un vero schifo”.

Le culture politiche e sindacali di CGIL e CISL fecero fatica a misurarsi con questo tema, e, per timore di mettere in discussione la funzione redistributiva della fiscalità, a lungo non riuscirono a fare i conti con un sistema che tollerava dati abnormi di evasione ed elusione, mettendo così il peso della tassazione in maniera esorbitante sulle spalle del lavoro dipendente. Savino Pezzotta, segretario generale della CISL 2000-2006, si compiaceva di reiterare il suo “Io amo le tasse”, dalle buone intenzioni ideologiche, ma incapace di fare i conti con una realtà concreta che vede i lavoratori dipendenti e i pensionati contribuire per il 94% al gettito Irpef, come rileva Domenico Proietti: altro che redistribuzione! 

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