Da diverso tempo il Ministero dell’Economia e delle Finanze sale alle cronache per le proteste del personale e per un’intensa campagna di comunicazione con cui i sindacati contestano le scelte dei vertici ministeriali. Facciamo il punto della situazione con Andrea Bordini, Segretario organizzativo della Uil Pubblica Amministrazione.
Di recente lei ha avuto un incontro col Direttore generale del Mef. Di cosa avete discusso?
Innanzitutto, abbiamo parlato della frammentazione del MEF con la nascita di due nuovi dipartimenti, in aggiunta ai quattro già esistenti: il Dipartimento delle commissioni tributarie e il Dipartimento delle partecipate. Noi come UIL, ci siamo opposti con forza a questa nuova ripartizione poiché indebolisce il Ministero a causa dell’ingresso dei privati e dall’aumento dei centri decisionali. Poi abbiamo affrontato il tema della carenza di personale. Al MEF risultano attivi 9mila dipendenti su 12mila previsti. Di recente si sono tenuti dei concorsi, ma dei circa 1.200 vincitori quasi il 43%, ha rinunciato a prendere servizio perché è troppo costoso spostarsi dalla propria città di residenza. Infine, si è discusso di formazione. Purtroppo non è finanziata dal governo e ciò comporta uno stop alle progressioni economiche e ai passaggi di area all’interno dell’amministrazione.
Quindi, se ho ben capito, a dispetto del sistema di relazioni sindacali fissato nel CCNL il MEF procede unilateralmente a riorganizzare intere strutture, a istituire nuovi Dipartimenti e Direzioni. Si tratta di iniziative sporadiche o è in atto un tentativo di delegittimare il sindacato?
Per prima cosa va precisato che l’amministrazione applica norme, leggi e decreti varati dal governo, ossia dalla politica. Se la politica decide di riformare questo o quel settore della struttura del ministero, il sindacato viene informato, può manifestare la sua contrarietà, ma poi la riforma passa lo stesso. Tutto questo per dire che la delegittimazione del sindacato è da imputare alla politica, non all’amministrazione. È chiaro che non ci limitiamo a dare un parere contrario. Non stiamo a guardare e organizziamo manifestazioni, presidi, sit-in. Protestiamo con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione e i lavoratori ci seguono. Cerchiamo in tal modo di esercitare una pressione per modificare lo stato di cose e per informare l’opinione pubblica. Quello che va recuperato è proprio ciò che la politica ci nega: la contrattazione. E possiamo contrattare con l’amministrazione. La quale per noi non è un nemico, ma una controparte con cui discutere per tutelari i diritti dei lavoratori e garantire un servizio di qualità ai cittadini.
Malgrado gli accordi sottoscritti sembra che al MEF l’attuazione del lavoro agile non stia funzionando. Può spiegarci qual è il problema?
Il MEF ha iniziato la sua avventura nel lavoro agile con una proposta a dir poco imbarazzante e avversata da tutte le organizzazioni sindacali tanto da portare a manifestazioni unitarie contro la policy dello smart working. Il problema principale sta nella cultura del lavoro di diversi dirigenti. Una cultura del lavoro arretrata secondo la quale si produce solo se sei presente fisicamente in ufficio e controllato a vista. Tuttavia, proprio uno studio del MEF ha evidenziato come attraverso lo smart working aumenti la produzione grazie ai vantaggi ottenuti da alcune tipologie di lavoratori quali, per esempio, i pendolari. Il punto è che in Italia, il lavoro a distanza è concepito più come home working anziché come smart working perché non si è in grado di ragionare in termini di progetto. Abbiamo ancora molta strada da fare rispetto a come è vissuto e organizzato il lavoro agile in altri paesi europei.
Si parla tanto di migliorare l’attrattività della Pubblica Amministrazione nei confronti dei giovani. Pensa che i nuovi assunti al MEF siano soddisfatti di come l’amministrazione li sta utilizzando?
Il Mef è composto da realtà differenti. In alcune i nuovi arrivati sono soddisfatti, in altre no. Questo anche perché diversi dipartimenti sono per forza di cose più dinamici di altri, in particolare quelli in cui la normativa è in continua evoluzione. Il che costringe a un aggiornamento continuo per stare al passo coi tempi. E poi ci sono casi in cui l’amministrazione non ha assegnato il personale in maniera accorta. Forse la maggiore insoddisfazione si registra negli uffici territoriali. Nei quali c’è parecchia carenza di organico e si è sempre con l’acqua alla gola per rincorrere gli arretrati. Va poi aggiunto un altro elemento. E cioè che i nuovi assunti non sono propriamente dei giovani, ma persone di 35-40 anni che magari hanno già sulle spalle la responsabilità di una famiglia. L’età e le responsabilità familiari incidono molto sulla disponibilità del lavoratore a trasferirsi, ad aggiornarsi, a dedicarsi all’ufficio e così via.
Che rapporto hanno i nuovi assunti con il sindacato?
Molto buono perché ha alle spalle un importante lavoro svolto dal sindacato sia in fase pre-concorsuale che post-concorsuale. Noi come Uilpa organizziamo sia corsi formativi per affrontare le prove concorsuali sia webinar con i neoassunti per creare da subito una forte contatto col sindacato. Ritengo che il ruolo del sindacato nel rapporto con i giovani e con i lavoratori in generale debba avere la duplice funzione di tutelare, consigliare e indirizzare verso la contrattazione.
In base al contatto quotidiano che ha con i rappresentanti nazionali e territoriali Uilpa, qual è il problema più importante da porre all’attenzione del governo?
La carenza di personale e l’età media elevatissima. Consideri che noi rischiamo di chiudere gli uffici sul territorio perché l’età media del personale è arrivata a 58-59 anni. E si rischia anche di perdere la trasmissione delle competenze. Questo perché un nuovo assunto, per quanto preparato sia, non ha l’esperienza, non ha avuto una formazione sul campo che gli è necessaria per svolgere al meglio il proprio lavoro. E se si trova vicino un collega che è a un passo dalla pensione non c’è né il tempo né l’energia per passare il testimone. Si tratta di problemi concreti sui quali il governo dovrebbe intervenire al più presto. Noi siamo disposti al confronto. Ma è la politica che deve battere un colpo se non vuole arrivare a una crisi irreversibile del ministero.
Roma, 19 giugno 2023
A cura dell’Ufficio comunicazione UIL Pubblica Amministrazione