Qual è il problema più urgente che il suo ente si trova ad affrontare?
È sicuramente l’attuazione dell’ultima riforma organizzativa che ha stravolto l’impianto voluto dal precedente ministro. C’è stata una profonda modifica nell’assetto complessivo dell’amministrazione, con la reintroduzione dei Dipartimenti e la conseguente cancellazione del Segretariato Generale e di tutte le sue articolazioni periferiche. L’attuazione di questo processo, rientrante nelle prerogative datoriali, si trascina ormai da due anni e non vede la luce, condannando di fatto una notevole parte del personale a una condizione di incertezza sul proprio futuro professionale. C’è confusione sull’attribuzione di deleghe e sull’assegnazione degli incarichi al personale dirigente, che è impossibilitato a programmare le attività di gestione.
Quali sono i riflessi di questa riforma organizzativa sul personale?
Sono riflessi importanti che, per esempio possono riguardare anche l’eventuale mobilità del personale. Memori di precedenti esperienze, abbiamo chiesto al vertice politico di discutere del processo di mobilità, ma finora senza alcun riscontro. Non sappiamo se l’amministrazione intende attuarlo con o senza il contributo delle parti sociali. E si tratta di un problema fondamentale, perché impatta a cascata su tutta una serie di aspetti organizzativi al centro e sui territori.
Il sindacato è favorevole o contrario a questa riforma?
È una scelta organizzativa contrastata dalle organizzazioni sindacali, come peraltro tutte le precedenti, in primis dalla UILPA, perché non c’è stata alcuna forma di consultazione legata ai buoni rapporti e alla buona prassi delle relazioni sindacali nel Ministero. In un contesto generale in cui gran parte della compagine di governo ritiene che qualunque forma di opposizione sia sempre pretestuosa, pregiudiziale o politicizzata, è importante dire che questa riforma non incontra il favore di larga parte delle organizzazioni sindacali del Ministero esattamente come le precedenti. Da parte nostra, quindi, nessun pregiudizio. Noi non siamo contrari alla riforma perché è stata fatta da un governo di destra, ma perché è stata fatta senza la consultazione delle parti sociali come quando erano altri a governare.
A sei mesi dalla firma del CCNL può fornirci una valutazione complessiva sull’andamento delle relazioni sindacali nel suo Ministero?
Alla Cultura abbiamo sempre avuto una elevata qualità di relazioni sindacali, dovuta soprattutto alla preparazione e alla sensibilità delle parti. C’è anche una conoscenza delle reciproche rivendicazioni di sigla che consente di prevenire i problemi e di cercare il massimo coinvolgimento di tutte le organizzazioni sindacali ancor prima di sedersi intorno a un tavolo. Tutto questo fino alla sottoscrizione del CCNL Funzioni Centrali ‘22-’24 che ha creato una frattura molto forte dei rapporti sindacali con l’esclusione delle organizzazioni non firmatarie che non vengono convocate neanche come uditori per avere un’informativa.
Sappiamo però che, insieme a un’altra organizzazione sindacale non firmataria, ha promosso con la UILPA un ricorso contro il Ministero della cultura.
Esatto. Si tratta di un ricorso basato su un principio fondamentale: escludere dall’informativa sindacale significa escludere dalla conoscenza di temi e problemi collettivi che riguardano la pluralità delle lavoratrici e dei lavoratori, negando di fatto la rappresentatività delle sigle non sottoscrittrici. Sigle che, peraltro, al Ministero della cultura rappresentano ben oltre il 50% dei lavoratori, come confermato dalle ultime elezioni per le RSU. Vedremo cosa diranno i giudici.
Qual è il grado di coinvolgimento sindacale dei giovani neo-assunti?
Abbiamo intercettato i giovani ovunque ne abbiamo avuto la possibilità. Li abbiamo coinvolti sia come candidati nelle liste per le elezioni delle RSU, sia in ruoli legati all’espletamento delle procedure elettorali. E anche grazie a questa circostanza li abbiamo conosciuti meglio, accorgendoci che sono molto interessati alla conciliazione vita-lavoro. Infatti, vogliono sapere se possono fare lo smart-working, il telelavoro o il co-working. D’altronde, in molti casi, l’accesso al mondo del lavoro avviene intorno ai 30 anni o anche più. Ciò significa che questi ‘giovani’ diventeranno presto genitori e avere il posto di lavoro a 700 km di distanza dalla propria residenza non è un problema se l’amministrazione consente il lavoro agile 5 giorni su 5 o il coworking o il telelavoro domiciliare. Ma nella P.A. queste forme di lavoro da remoto non sono un diritto. Sono solo una possibilità.
A cura dell’Ufficio comunicazione UIL Pubblica Amministrazione
Roma, 27 maggio 2025