Già prima della crisi avere un’occupazione non aveva sempre garantito dalla povertà, soprattutto a livello familiare, sia perché sono aumentati i cosiddetti “cattivi lavori”, sia perché non sempre un reddito da lavoro in sé adeguato, ma modesto, è sufficiente a mantenere una famiglia. Accanto al reddito da lavoro individuale, fanno la differenza il numero dei percettori di reddito in una famiglia, la sua ampiezza, l’esistenza e la generosità dei trasferimenti sociali.
Mentre l’aumento dell’occupazione continua a essere proposto come l’unica via d’uscita dalla povertà, le politiche dell’austerity hanno causato una riduzione dei trasferimenti, in particolare nei confronti della popolazione in età da lavoro. Se questo succede anche in altri paesi europei, in Italia presenta caratteristiche particolarmente gravi, non solo per i livelli di disoccupazione, ma anche per l’ancora troppo basso tasso di occupazione femminile (che determina l’elevata incidenza di famiglie monoreddito) e la debolezza storica del welfare, che si è ulteriormente indebolito e frammentato a seguito della crisi.
Sono questi i temi affrontati nel volume, rispetto all’Ue e rispetto alla specifica situazione italiana, sulla scorta dei dati empirici più recenti. Un approfondimento particolare è dedicato a due temi spesso marginali nel dibattito italiano e tuttavia molto importanti per la tenuta di una società e tra loro collegati: la povertà dei minori e la povertà delle famiglie di lavoratori.
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