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Donne nella P.A. Sono ancora molti i nodi da sciogliere. Intervista a Adele Silvestri

Adele Silvestri, Segretaria nazionale UILPA

Le tappe dell’emancipazione femminile hanno visto le donne combattere inizialmente per la loro autonomia, poi per la carriera e oggi per il riconoscimento della parità in tutti campi. Tuttavia questa lunga marcia non si è ancora conclusa. E ai tanti passi avanti si alternano passi indietro. Per esempio, oggi le donne ricoprono ruoli lavorativi di rilievo, ma allo stesso tempo la politica le individua come perfette madri di famiglia (o caregiver come si usa dire col solito peloso inglesismo) per supplire alla carenza dei servizi pubblici. Parliamo di questo e di altri problemi con Adele Silvestri, Segretaria nazionale della UILPA.

 

La legge 104 è utilizzata prevalentemente da lavoratrici per assistere parenti anziani o disabili. Si tratta di un diritto, ma è diffusa l’idea che riduca il prestigio professionale di chi ne usufruisce. Come si combatte questo pregiudizio?

Innanzitutto diffondendo informazioni basate su dati reali. Spesso una certa pubblicistica tende ad accreditare l’idea che i permessi per assistere i familiari in condizioni di non autosufficienza siano il regalo di una legislazione sociale troppo generosa nei confronti di lavoratori in cerca di qualche scusa per non andare in ufficio. Niente di più sbagliato. La realtà è che siamo di fronte a uno stato sociale sempre più carente e a servizi di assistenza nei confronti di anziani non autosufficienti e portatori di grave handicap sempre più inefficienti. Chi ha in famiglia una persona con questi problemi non ha scelta: deve arrangiarsi per conto proprio. Perciò è importante che si possa fare affidamento sulle agevolazioni della legge 104, poiché è evidente che le ferie e gli altri permessi previsti dal contratto collettivo non bastano. Ma di queste cose, purtroppo, si rendono conto solo coloro che vivono le situazioni in prima persona. Non la stampa, sempre alla ricerca di uno scandalo, non la politica sempre più lontana dalla vita reale dei cittadini.

 

Qual è l’atteggiamento delle amministrazioni di fronte a questo tipo di situazioni?  

Dipende. Negli uffici del personale abbiamo spesso a che fare con dirigenti di grande sensibilità che conoscono le norme e si rendono conto dei pesi che gravano sulle spalle dei loro dipendenti. Anche perché l’età media dei lavoratori è molto elevata e l’incidenza di familiari anziani affetti da gravi problemi di salute inevitabilmente è più alta che in passato. Purtroppo, qualche volta registriamo anche atteggiamenti ostativi che puntano a rendere più difficile la fruizione di questi permessi attraverso un iper-legalismo burocratico che vorremmo vedere riservato ad altro genere di problemi.

 

Si sta discutendo parecchio di “Opzione donna”, ossia la possibilità per le donne che hanno maturato determinati requisiti di andare in pensione in anticipo. Per il 2023 il governo sta fissando regole più stringenti. Cosa ne pensa?

Per prima cosa va detto che la nuova legge finanziaria innalza l’età pensionistica a 60 anni, riducendola di uno per ogni figlio, per un massimo di due, come se aver cresciuto due figli fosse uguale a crescerne tre, quattro o più. E poi i politici hanno il coraggio di parlare di declino demografico. Comunque, penso che le nuove regole delineate nel disegno di legge di bilancio siano troppo restrittive e finiranno per rendere “Opzione donna” una soluzione di nicchia. È vero che il numero di donne che ha fruito sino ad oggi di questa possibilità rispetto alla platea potenziale non è vastissimo, anche perché comporta una forte riduzione dell’assegno pensionistico. Ma limitare la possibilità di scelta soltanto alle donne che si occupano della cura di familiari, a quelle con un handicap di almeno il 74% e a quelle licenziate o dipendenti da imprese in crisi vuol dire restringere drasticamente il campo di applicazione. Cosa di cui francamente non si comprende il motivo. La mia impressione è che il governo finirà per rivedere le proprie posizioni.

 

Ci si sta accorgendo che molti vincitori di concorsi pubblici viaggiano sulla quarantina e a costoro viene spesso chiesto di lavorare in città molto lontane dal luogo di residenza. Nel caso di donne con figli minori o che hanno parenti anziani da assistere trasferirsi è molto difficile se non impossibile. Come mai questo fenomeno non è stato previsto?

Perché la fretta è sempre una cattiva consigliera. Per quanto riguarda i concorsi pubblici, il precedente governo ha agito di fretta sotto l’impulso dell’emergenza PNRR, quando si sono resi conto che gli organici della Pubblica Amministrazione erano stati svuotati da circa vent’anni di tagli continui delle risorse e dal blocco del turn-over. Si è dunque operata una semplificazione dei concorsi per fare presto, ma senza tenere conto che ai concorsi pubblici non partecipano solo i giovani. Infatti molti vincitori sono risultati essere non solo quarantenni, ma anche cinquantenni e in qualche caso persino ultracinquantenni. Di conseguenza il fenomeno delle rinunce al posto da parte dei vincitori di concorso ha raggiunto una dimensione mai vista.

 

Tuttavia anche molte e molti giovani vincitori di concorso hanno rinunciato al posto.

Certo, perché con uno stipendio di 1.400 euro netti non si vive fuori sede a causa di un costo della vita sempre più alto e dell’inflazione galoppante. Aggiunga poi che i contratti sono spesso triennali e dunque non c’è neppure la stabilità del posto. Insomma, siamo dinanzi a un grave problema che per le donne diventa drammatico in quanto quasi sempre portano il peso di responsabilità familiari che non possono eludere.

 

Cosa occorre fare affinché le donne non rinuncino al lavoro pur avendo vinto un concorso?

Occorre puntare sulla flessibilità organizzativa e sugli strumenti per l’equilibrio tra vita e lavoro. L’ultimo CCNL Funzioni Centrali contiene aspetti molto innovativi in tal senso, come ad esempio la nuova disciplina del lavoro a distanza. Ma nelle amministrazioni spesso regna ancora una logica organizzativa di vecchio stampo che fa fatica ad accettare l’idea che il lavoro possa essere organizzato per progetti e obiettivi invece che per competenza gerarchica. È una questione di mentalità. Bisogna superare la barriera culturale del foglio firma e del giustificativo di assenza se si vuole realizzare una vera digitalizzazione del lavoro nella Pubblica Amministrazione. Mettendo in condizione di non rinunciare al posto a coloro che abitano lontano dalla sede di servizio.

 

Ci dica tre misure indispensabili per favorire la crescita professionale delle donne nel mondo del lavoro pubblico.

Primo: rimuovere gli ostacoli alla carriera, soprattutto quelli legati alle penalizzazioni sulle valutazioni di merito dovute alle assenze per la cura dei figli o della famiglia.  Secondo: dare attuazione a tutte le forme partecipative previste dalla contrattazione, dove le donne possono svolgere un ruolo trainante nell’influenzare le scelte organizzative dell’amministrazione. Terzo: fare in modo che la politica stia il più lontano possibile dalla gestione organizzativa delle amministrazioni.

 

A cura dell’Ufficio comunicazione UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 7 dicembre 2022

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Ufficio comunicazione UILPA

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