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Colombi. L’inflazione si mangia i salari. Che fare?

Scaricare sui governi appena nati la colpa dei problemi accumulati dai governi precedenti è un’abitudine che non ci appartiene. Fatta questa precisazione vorremmo parlare della galoppante erosione del potere d’acquisto dei salari dei lavoratori dipendenti.

Secondo gli ultimi ISTAT l’indice nazionale dei prezzi al consumo su base annua registra una crescita dell’11,9%, l’incremento dei prezzi dei prodotti energetici raggiunge a settembre addirittura il 73%, ma lo tsunami inflativo investe anche i beni alimentari, quelli per la cura della casa e della persona (+12,7%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (+8,9%)

Commenta l’ISTAT: “È necessario risalire a giugno 1983 (quando registrarono una variazione tendenziale del +13,0%) per trovare una crescita dei prezzi del “carrello della spesa”, su base annua, superiore a quella di ottobre 2022”. Già, ma a quell’epoca esisteva ancora un sistema di adeguamento salariale automatico che compensava (almeno in parte) la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni. E ora?

Ora i lavoratori dipendenti sono del tutto scoperti, abbandonati senza alcuna difesa ai capricci del mercato. È questo il risultato di oltre 30 anni di folli politiche neo-liberiste. Le quali, è ormai sorto gli occhi di tutti sono fallimentari perché impoveriscono quote sempre più grandi di popolazione e persino coloro che hanno un lavoro stabile come i pubblici dipendenti.

La combinazione di inflazione alta e salari bassi è stata confermata di recente anche da Banca d’Italia in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio: le retribuzioni contrattuali “hanno registrato nel secondo trimestre una crescita tendenziale dello 0,9 per cento, 0,3 punti in più rispetto a quella di inizio anno, soprattutto per via dei rinnovi dei contratti nel settore pubblico.”

Ci si riferisce probabilmente al rinnovo del CCNL Funzioni Centrali firmato il 9 maggio scorso. Peccato che, di fatto, l’aumento contrattuale sia già stato interamente mangiato dall’inflazione. Una intera mensilità di stipendio 2022 è finita nelle tasche della speculazione internazionale senza alcuna possibilità di recupero. E probabilmente nel 2023 accadrà la stessa cosa. Nonostante ciò la Banca d’Italia suggerisce di non aumentare gli stipendi per difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni. Il che significa aumento della povertà e se va bene stagnazione economica.

Ci auguriamo che il nuovo esecutivo inizi a porre un argine al fanatismo neoliberista e inizi a riflettere sulla composizione dell’indice con cui vengono calcolati gli incrementi retributivi contrattuali. O magari anche sulla restituzione del cuneo fiscale. Gli spazi di manovra ci sono. Occorre solo la volontà politica di utilizzarli.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 2 novembre 2022

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