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Colombi. Innovazione tecnologica della P.A.: debilita lo Stato e fa felici i privati

Ben 40 miliardi di euro sono stati assegnati all’Italia dal Fondo per la ripresa allo scopo di realizzare la Missione 1 del programma Next Generation EU denominata: “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo.

Di questi 40 miliardi la quota destinata alla “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA” è pari a 9,72 miliardi. Somma che serve a finanziare infrastrutture digitali, cybersecurity, digitalizzazione delle amministrazioni centrali, interoperabilità delle banche dati, competenze digitali e così via.

Date le esperienze pregresse sul fronte della digitalizzazione, non vorremmo che questi investimenti servissero ancora ad alimentare la giostra di acquisti per prodotti, servizi e consulenze di soggetti privati rendendo di fatto la macchina amministrativa ancora più dipendente da appalti, forniture e competenze esterne.

Non sarebbe una novità perché in passato la spesa per l’innovazione nella P.A. si è rivelata piuttosto elevata già prima del PNRR e da diversi anni in crescita. Dal “Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2021-2023” realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale si evince infatti che si è passati da una media di 5,6 miliardi di euro all’anno nel triennio 2016-2018 a oltre 6,5 miliardi del 2021 e a quasi 7 miliardi previsti per il 2022.

Purtroppo all’incremento si spesa non è corrisposto un rafforzamento delle competenze interne nelle amministrazioni. In quelle centrali il personale in servizio con competenze ICT nel periodo dal 2019 al 2021 non supera mai il 2,4%, per il 2022 è previsto un calo e in altri settori pubblici la percentuale è ancora più esigua. Non sorprende quindi che il 46% delle amministrazioni centrali preferisca affidarsi a soggetti esterni per la gestione dei sistemi informativi.

Spendere molto non significa automaticamente spendere bene. La P.A. investe molte risorse nell’innovazione tecnologica. Ma i nostri quadri territoriali ci riferiscono spesso dell’inefficienza dei sistemi informatici e della cattiva qualità dei servizi di gestione. Per non parlare dell’inadeguatezza dei canali di comunicazione con l’utenza, del sovraccarico di adempimenti informatizzati, della mancanza di strumentazioni, della farraginosità delle piattaforme operative e così via. Tutte criticità dovute all’acquisto di prodotti e pacchetti standard di fornitori esterni che nella quasi totalità non conoscono la realtà del lavoro pubblico e non hanno familiarità con la complessità connessa all’erogazione dei servizi pubblici.

L’innovazione tecnologica ha un senso se si traduce nel miglioramento dei servizi della Pubblica Amministrazione. E il miglioramento è possibile solo se si coinvolgono i lavoratori nelle scelte organizzative, a cominciare da quelle che comportano l’introduzione su vasta scala di nuove infrastrutture digital, e se si punta sul serio sul potenziamento delle competenze interne

Se la P.A. non vuole continuare a spendere tanto per ottenere poco è necessario programmare i futuri investimenti in nuove tecnologie a valle di un attento percorso di ascolto dei lavoratori che operano nei servizi interessati. Altrimenti anche i 9 miliardi in arrivo dall’Europa rischiano di creare più problemi che soluzioni e di arricchire i privati impoverendo P.A.

Sandro Colombi, Segretario generale Uil Pubblica Amministrazione

Roma, 22 aprile 2022