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Colombi. Il Def prevede il ritorno all’austerità: non ci stiamo!

Le notizie che si ricavano dal Documento di Economia e Finanza, approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 aprile scorso e pubblicato sul sito istituzionale del MEF, non promettono nulla di buono per i lavoratori del pubblico impiego e per i cittadini che fruiscono dello Stato sociale.

Nel 2022 la spesa prevista per redditi da lavoro dipendente delle pubbliche amministrazioni è pari a 188.818 milioni, con un incremento del 7,1% rispetto al 2021 dovuto in massima parte all’attuazione dei CCNL 2019-2021. Ma con un’inflazione che a marzo 2022 era già stimata dall’ISTAT vicina al 7%, gli aumenti ottenuti dai lavoratori sono bruciati ancora prima di arrivare in busta paga. Non basta, perché nel 2023 si prevede un calo della spesa per redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche pari all’1%, a cui seguirà un ulteriore calo dello 0,8% nel 2024 e una sostanziale stabilizzazione nel 2025 (+0,2%).

In soldoni, per le retribuzioni del pubblico impiego lo Stato nel 2025 spenderà oltre 3 miliardi in meno rispetto al 2022. Di sicuro i falchi di Bruxelles saranno contenti. Però un simile scenario non è compatibile con la necessità di incrementare l’occupazione nel settore pubblico anche in vista del potenziamento della macchina amministrativa per l’attuazione del PNRR. Tempo fa qualcuno aveva parlato di 741mila nuovi assunti nella Pubblica Amministrazione entro il 2025: il governo intende pagarli con pacche sulle spalle?

Le cose non andranno meglio sul fronte della spesa sociale. Dal 2022 al 2025 le prestazioni sociali a carico dello Stato (pensioni, ammortizzatori sociali, reddito di cittadinanza, assegno unico, interventi di integrazione salariale ecc.) cresceranno complessivamente di circa 45 miliardi, ma la loro incidenza sul PIL dovrebbe progressivamente diminuire dal 22,5% del 2021 al 21,2% del 2025.

Tutte queste percentuali sono solo previsionali. Ma in controtendenza rispetto ad altre voci di spesa che oggi evidentemente vengono ritenute più utili per i cittadini italiani, come ad esempio quelle per gli armamenti.

Infine la sanità. Se per l’anno 2022 si prevede un incremento di spesa pari al 3% rispetto al 2021 (dove però si sconta l’effetto dei rinnovi contrattuali 2019-2021 per il personale del Servizio Sanitario Nazionale), per il biennio 2023-2024 l’andamento della spesa sanitaria nel suo complesso dovrebbe portare a una diminuzione di circa 3 miliardi. Quanti posti letto di terapia intensiva sono compresi nel taglio? Ci piacerebbe saperlo.

In attesa che il governo si decida a varare una seria politica di redistribuzione fiscale iniziando, come ha suggerito Pierpaolo Bombardieri, dalla tassazione degli extra-profitti delle multinazionali che hanno accumulato (e continuano ad accumulare) inaudite ricchezze speculando sulle emergenze e non solo, non nascondiamo una forte preoccupazione per l’annunciato ritorno delle politiche di austerità, perché già sappiamo che il conto lo pagheranno i soliti noti: pubblici dipendenti, pensionati e categorie socialmente deboli.

Se qualcuno pensa di continuare a usare il settore pubblico come bancomat per finanziare i risparmi di spesa graditi a Bruxelles e oltreoceano, forse non ha compreso il senso dei risultati delle ultime elezioni per le RSU. Saranno i numeri dei risultati ufficiali a parlare in nome e per conto delle lavoratrici e dei lavoratori che ogni giorno si battono contro lo smantellamento della Pubblica Amministrazione e dei diritti dei cittadini.

Ancora una volta la politica economica del governo ha un connotato ferocemente classista. E non ci sfugge che tale politica abbia tra i suoi obiettivi l’indebolimento del sindacato. Giunga al governo e alla pletora di neoliberisti che lo compone un messaggio forte e chiaro: è finita un’epoca e per noi davvero indietro non si torna. Anche questa la si consideri una previsione: ma è certa.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 12 aprile 2022