“Nel DEF non compaiono politiche a sostegno di una buona e stabile occupazione, mentre gli interventi in materia di lavoro si concentrano sul taglio previsto sui contributi sociali per il lavoro subordinato, taglio che ammonterebbe a circa 3 miliardi, da aggiungere ai 2 già previsti dall’ultima legge di bilancio. Eppure, il tema lavoro, e di come sospingere un tasso di attività fanalino di coda in Europa, dovrebbe collocarsi al centro della strategia governativa”.
Lo ha affermato il presidente del CNEL, Tiziano Treu, ieri sera in audizione preliminare alle Commissioni congiunte bilancio del Senato e della Camera sull’esame del Documento di Economia e Finanza 2023.
“Dal DEF traspare l’idea che il recupero delle perdite di potere d’acquisto subite dai salari per effetto dell’impennata inflazionistica debba avvenire mediante l’aumento della produttività. Le Parti sociali segnalano, piuttosto, come a fronte di una rincorsa fra inflazione e profitti (più che fra salari e inflazione) si debba ritenere prioritaria la strada del recupero dell’inflazione attraverso lo strumento della contrattazione collettiva. Si rileva invece come il Governo non abbia previsto risorse per i rinnovi contrattuali per il triennio 22/24 né per un piano straordinario di assunzioni sufficienti a garantire accettabili livelli di erogazione dei servizi pubblici fondamentali. Il miglioramento della capacità amministrativa e il potenziamento della capacità di spesa delle PPAA erano e restano il perno del PNRR; per questo la scelta di disinvestire sul lavoro pubblico rischia di compromettere questo obiettivo strategico per il Paese”, aggiunge ancora Treu.
Nella memoria inviata oggi alle Commissioni di Camera e Senato il CNEL ipotizza “dubbi in merito alla capacità delle politiche descritte in questo DEF di invertire la rotta sulla crescita. Il Paese continua dal 2000 a perdere peso all’interno dell’Unione: all’inizio del millennio l’Italia rappresentava il 18% del PIL dell’Eurozona, oggi il 12%. Eccessiva prudenza sulla programmazione finanziaria 2023-2026”.
Il CNEL segnala, in ogni caso, come “i consumi delle famiglie, che hanno ben tenuto nel corso del 2022 grazie al risparmio accumulato nel biennio pandemico, siano nell’ultimo trimestre scesi dell’1,6% a causa della diminuzione del reddito reale dovuta all’inflazione. Non sembra pertanto questo il Documento contenente la risposta ai problemi del Paese, a cominciare dalle policy di contenimento dei prezzi e dalla promozione di una crescita sostenuta e stabile. Il nodo centrale riguarda la esiguità delle risorse attivate: la generazione di importanti avanzi primari nell’orizzonte temporale del DEF si tradurrà molto probabilmente in tagli di spesa. Ora, all’esito dei marcati tagli lineari già causati dall’impennata dell’inflazione, manca nel DEF 2023 un’idea di revisione della spesa collegata a un serio percorso di riqualificazione della spesa pubblica.
“Fra le azioni di politica economica su cui si concentra l’attenzione dell’esecutivo figura la riduzione del cuneo fiscale, che per quanto destinata ai redditi medio-bassi, appare insufficiente in termini di crescita aggiuntiva attivata, nel confronto fra tendenziale e programmatico, e necessita di stanziamenti derivanti da altre fonti. L’esiguo ammontare destinato al taglio dei contributi per i lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro dovrebbe essere integrato con risorse recuperate da una attenta revisione della spesa.
Sul piano della tutela della salute, malgrado la crisi pandemica abbia evidenziato la necessità di consistenti investimenti nel settore, sul DEF viene scritto che il Fondo sanitario nazionale nel 2024 subirà dei tagli. La spesa scenderà del -2,4% e nel 2026 si prevede il tasso più basso di finanziamento, in percentuale del PIL, degli ultimi anni: il 6,2%, a fronte di una media UE dell’9%. Per quanto sia ipotizzabile, da parte del Governo, una progressiva “delocalizzazione” al settore privato, si ricorda qui che anche la sanità privata viene finanziata dal Fondo sanitario nazionale; quindi, anche le strutture private in un contesto di tagli potrebbero interrompere le convenzioni.