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Carlo Mosca: il prefetto deve saper ‘leggere’ il territorio

di Guido Melis

 

Carlo Mosca (1945-2021) è stato certamente uno dei migliori e dei più innovatori prefetti italiani degli ultimi decenni. Diplomatosi a Napoli alla prestigiosa Scuola della Nunziatella, laureatosi poi in giurisprudenza tra gli atenei di Sassari e di Napoli, ha trascorso parte della sua prima carriera in servizio presso il corpo delle Guardie di pubblica sicurezza, poi dal 1981 nel corpo prefettizio, essendo nominato prefetto nel 1993 e prefetto di prima classe nel 2000. Colto, brillante, dotato di un tratto umano che si faceva immediatamente apprezzare, ebbe sempre un’attenzione peculiare verso i problemi sociali. Molto concorsero alla sua formazione anche i soggiorni all’estero, specie in Germania, in Francia e negli Stati Uniti (con responsabilità istituzionali di rilievo). È stato vice-capo di gabinetto nel Ministero dell’Interno sino al 1994, quindi da quell’anno vice-direttore vicario del Sisde. Dal 1996 al 2000 gli è stato affidato l’incarico di direttore della Scuola superiore della amministrazione civile dell’Interno (la “scuola dei prefetti”), dove ha allevato generazioni di giovani trasmettendo loro non solo il suo sapere ma specialmente la sua vocazione al servizio di Stato. Nel 2000 ha assunto l’incarico di direttore dell’Ufficio centrale legislativo e delle relazioni parlamentari dell’Interno, quindi è stato capo di gabinetto prima del ministro Giuseppe Pisanu, poi del suo successore Giuliano Amato. Dal settembre 2007 al 2009 è stato prefetto di Roma, dimissionario in tacita polemica (il silenzio e la correttezza istituzionale erano in Mosca doti innate ma anche a lungo coltivate) col ministro dell’epoca, specie sul tema scottante del controllo delle comunità Rom della capitale (il caso della raccolta delle impronte digitali dei bambini degli accampamenti). Consigliere di Stato dal 2009 al 2015, ha prestato la sua apprezzata opera presso la seconda sezione consultiva e la sesta giurisdizionale dell’istituto di Palazzo Spada. Dal 2016 ha fatto parte presso il Ministero della giustizia del Comitato scientifico della lotta alla criminalità organizzata. Ha svolto, nel frattempo, attività universitaria e di formazione, specialmente presso l’Università Cattolica, la Sapienza di Roma, l’Istituto superiore di polizia. Presidente della Associazione dei prefetti, è rimasto a lungo, anche dopo le sue dimissioni, consigliere prezioso e amico di una larga parte dei prefetti italiani. Numerosissime le sue pubblicazioni, che spaziano su materie quali la sicurezza democratica, la formazione, l’etica del servizio pubblico, l’intelligence, la riforma dell’amministrazione.

Nel passo qui proposto, estrapolato da uno dei suoi libri, emerge con chiarezza la sua concezione del prefetto nello Stato democratico: la polivalenza della figura (amava dire che il prefetto è colui che si addossa tutte le funzioni e gli interventi che gli altri soggetti istituzionali non possono o non vogliono espletare), la terzietà ormai raggiunta, assieme all’indipendenza dal potere politico (le cui direttive il prefetto deve mettere in pratica, ma non meccanicamente come fosse un automa), la sua speciale capacità di “leggere” il territorio che gli è affidato e di interpretarne e mediarne al centro domande, aspettative, bisogni.

 

Quanto più la Repubblica si configura come un ordinato e omogeneo sistema di differenti livelli di governo, tanto più è indispensabile che lo Stato garantisca, attraverso le sue propaggini territoriali, il più accurato e informato coordinamento delle funzioni pubbliche negli interessi generali del Paese. Coordinamento informato che deve poter contare su una precisa e minuziosa capacità di “lettura” dei fenomeni che si sviluppano sul territorio, al fine di permetterne una sintesi adeguata a livello di governo nazionale. Su questo punto la qualità professionale, le competenze di ordine generalista sono un presidio primario della capacità di risposta delle istituzioni alle esigenze del tessuto sociale. A tutt’oggi il “corpo prefettorale” risulta, salvo eccezioni, il più idoneo a garantire la tenuta dello Stato territorio, a favorire il dialogo e la tessitura istituzionale indispensabile tra territori e compagine statuale.

 

Carlo Mosca, Il prefetto e l’unità nazionale, pref. di Maurizio Viroli, Napoli, Editoriale Scientifica, 2016, pp. 227-228.