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Audizione in Commissione Finanze di Cgil Cisl Uil in materia dei progetti di legge recanti la ‘Delega al governo per la riforma fiscale’

Premessa

 

Il sistema fiscale del nostro paese ha certamente necessità di essere riformato dalle fondamenta. Soffre infatti le conseguenze di essere stato concepito nella seconda metà degli anni 60 del secolo scorso (e diventato legge nei primi anni 70), quindi in un mondo totalmente diverso da quello attuale. Anche il tentativo di riforma degli anni 90 è stato successivamente “smontato” seguendo criteri legati ad una visione superata.

Nel tempo l’imposizione fiscale sul reddito delle persone è “fuggita” dall’IRPEF, l’imposta che avrebbe dovuto tassare il reddito complessivo dei contribuenti, per disperdersi in decine di rivoli, cedolari, tassazioni separate, aliquote di favore, deduzioni dall’imponibile, fino ad arrivare, ad oggi, ad un IRPEF la cui base imponibile è al 90% composta da redditi di lavoro dipendente e pensione e il cui gettito deriva al 95% da questi stessi redditi. Di fatto oggi questa imposta, lungi dall’essere applicata sul complesso dei redditi personali, si è ridotta ad essere l’imposta sui redditi fissi. Per questo CGIL, CISL e UIL nelle proprie piattaforme fiscali unitarie, sono sempre partite dall’esigenza di rivedere la base imponibile, di allargarla ricomprendendo al suo interno tutta una serie di redditi oggi esclusi. In mancanza di questo passo fondamentale, ogni riforma o modifica dell’IRPEF diventa una redistribuzione interna al reddito da lavoro e da pensione, e si manterrà ad esempio l’ingiustizia di redditi da lavoro tassati più delle rendite. Una seria riforma fiscale nel nostro paese deve partire da una svolta epocale nella lotta all’evasione fiscale. Senza questa svolta nessuna riforma fiscale può conseguire gli obiettivi di equità e di giustizia.

Ebbene, nonostante nella stessa relazione tecnica all’articolo 5 della legge si trovi una lettura corretta rispetto alla frammentazione del nostro sistema fiscale, questa riforma agisce prevedendo ulteriori esclusioni dalla base imponibile IRPEF, ed è questa la sua principale mancanza. La norma sostiene di voler perseguire l’obiettivo

dell’equità orizzontale (a parità di reddito, pari imposte) ma come detto, non intacca i regimi sostitutivi per autonomi, imprenditori, redditieri, limitandosi, come principale equiparazione, a voler pareggiare le detrazioni spettanti per i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione. Non è sufficiente, è ingiusto, e si proseguirà, nei fatti, a continuare a tassare il lavoro e le pensioni più delle rendite immobiliari (per cui si prevede l’estensione della cedolare secca anche per gli immobili commerciali), delle grandi rendite finanziarie che godranno della pericolosa unificazione tra redditi di capitali e redditi diversi che incentiva l’ampio uso di arbitraggi, più del lavoro autonomo, più del reddito agricolo, più del reddito d’impresa che in buona parte sarà escluso dall’IRPEF, e questo è impossibile da condividere.

La delega sostiene di perseguire gli obiettivi dello stimolo della crescita economica e della natalità, mediante la riduzione del carico fiscale. Il sistema fiscale non è tuttavia lo strumento per raggiungere tali obiettivi, può al massimo essere elemento facilitatore di serie politiche industriali ed investimenti pubblici, quelli sì, strumenti per la crescita. Per quanto riguarda la natalità, lo strumento principe è il lavoro stabile, è la cancellazione delle troppe forme di lavoro precario e la messa in campo di un welfare che alleggerisca per le famiglie e soprattutto per le donne l’onere del lavoro di cura. Dunque, pur cercando di dare risposta a un problema reale, gli obiettivi dichiarati rischiano di essere fuorvianti rispetto alla funzione che la riforma fiscale deve svolgere e distorsivi dell’allocazione delle risorse.

Ulteriore obiettivo dichiarato dalla legge di riforma è quello di favorire investimenti e trasferimenti di capitali in Italia. Di nuovo, non è attraverso il fisco che si ottengono questi risultati, salvo voler trasformare un paese manufatturiero in una sorta di paradiso fiscale. L’attrattività degli investimenti, il cosiddetto ambiente “business friendly”, troppo spesso (ed anche in questa Legge delega) viene declinato solo come riduzione di imposte, liberalizzazione degli appalti e taglio di costi e diritti del lavoro. In realtà gli investimenti, interni come esteri, crescono in un sistema in cui politiche industriali ed investimenti pubblici disegnano linee di intervento in linea con le transizioni digitale e green e anticipatrici della domanda futura, che quindi creano aspettative di crescita. Pensare di continuare sulla cosiddetta linea bassa dello sviluppo porrebbe l’Italia in competizione con i paesi dell’Europa dell’est ed asiatici, al margine delle catene di creazione di valore, in posizione subordinata e dipendente dalle scelte altrui e con tassi di produttività inevitabilmente più bassi.

Sull’imposta sui redditi personali, si traccia la prospettiva di transitare verso un sistema ad aliquota unica, ovvero a una flat tax. Abbiamo già più volte avuto modo di esprimere i motivi della nostra ferma contrarietà a questa impostazione. Contrarietà che si estende anche alla riduzione del numero di scaglioni. Vogliamo ribadire che estendere i redditi assoggettati all’aliquota più bassa è un vantaggio soprattutto per i redditi più elevati, e per tale motivo le piattaforme sindacali, anche unitarie, hanno sempre insistito per agire soprattutto attraverso le detrazioni e la decontribuzione.

Grave appare, inoltre, la volontà di ridurre le imposte sui profitti, e ancor di più la prospettiva del superamento dell’IRAP, che se analizzata di concerto con l’esclusione dall’IRPEF e dalle relative addizionali di tutta una serie di redditi, finisce per far gravare tutto il peso del finanziamento dei servizi pubblici locali sulle spalle dei soliti, lavoratori e pensionati.

Così come ci sentiamo di esprimere la nostra più netta contrarietà all’ipotesi di concordato preventivo biennale, che comporterebbe per i contribuenti minori una proposta per la definizione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP formulata dall’Agenzia delle entrate per i successivi due anni. Una tale valutazione, anche nel caso più virtuoso, ovvero utilizzando basi dati corrette e in trasparenza dei flussi, sconterà il difetto di non considerare il ciclo. Con ciclo positivo il contribuente beneficerà della crescita senza redistribuirla con le imposte. In caso di ciclo negativo il rischio di sostenibilità che si genererebbe per le imprese sarebbe tale da metterle in condizione di chiedere una revisione al ribasso del concordato con ragionevoli possibilità di accoglimento. Per queste ragioni crediamo invece che gli strumenti di tracciabilità debbano essere utilizzati per definire con certezza il reddito imponibile anno per anno, e che ciascuno debba pagare sui propri flussi effettivi, anno per anno, esattamente come capita ai lavoratori dipendenti e ai pensionati.

In questo senso valutiamo positivamente l’importanza che il testo della legge fornisce alle norme sull’utilizzo delle banche dati in chiave di prevenzione dell’evasione. Esse ricalcano una posizione che da tempo le organizzazioni sindacali portano avanti, spesso avversate da chi paventava l’avvento di un “grande fratello fiscale”. La realtà è invece che il controllo e l’incrocio automatico dei dati nei diversi passaggi tra gli operatori, e la trasmissione dei corrispettivi, e la verifica della congruità con i dati presenti nell’anagrafe dei rapporti finanziari e del PRA, e dell’agenzia del territorio, e in generale di tutte le banche dati che possono fornire informazioni sui flussi finanziari dei contribuenti siano l’unica via per sconfiggere la piaga dell’evasione fiscale e contributiva che ogni anno drena alle risorse pubbliche attorno ai 100 miliardi, e la cui riduzione è l’unica via per ridurre le imposte senza impoverire il bilancio pubblico e le sue esigenze. Per tale motivo crediamo che questa parte della delega sia la prima a dover essere posta in essere dai decreti. Tuttavia, gli ultimi condoni previsti in Legge Bilancio 2023 e le proposte di condono addirittura penale inserite nel DL 34 del 2023 in materia di energia, non sono coerenti con la volontà di aggredire seriamente l’evasione fiscale. Vogliamo sperare invece che il Governo voglia proseguire sulla via della tracciabilità e dell’incrocio delle banche dati, dando a queste attività priorità assoluta in coerenza con quanto previsto nel PNRR.

Stesso discorso vale per la riduzione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD). È importante cancellarli prima possibile dall’ordinamento, gestendo la transizione anche attraverso la loro sostituzione in Sussidi Ambientalmente Favorevoli. Nel frattempo, una dimostrazione della volontà di intraprendere questo percorso sarebbe rappresentata dalla pubblicazione dei cataloghi 20-21 e 21-22, e la riattivazione della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, come da target europei.

 

Impostazione generale

 

Innanzitutto, esprimiamo un giudizio negativo sulla delega. Riteniamo che siano necessari degli interventi sostanziali per renderla all’altezza delle esigenze del nostro paese ed è quindi importante che in questo passaggio parlamentare si intervenga per evitare di cristallizzare gli elementi di iniquità che in essa sono presenti

Va registrata innanzitutto l’assenza di confronto con le parti sociali, che non sono state coinvolte nel percorso di preparazione di una riforma che riguarda tutti i cittadini. Se pensiamo all’IRPEF, la principale imposta del nostro ordinamento, il mancato coinvolgimento dei sindacati appare ancora più grave visto che su circa 41 milioni di contribuenti 22 milioni sono dipendenti e 14,5 sono pensionati, un totale di 36 milioni e mezzo di persone, quasi il 90% del totale. Sono cifre che avrebbero reso un dialogo assai opportuno.

Nel merito, già dall’articolo 2, che definisce gli obiettivi della Delega, leggiamo che quello principale è “stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, anche al fine di sostenere famiglie, lavoratori e imprese” Questa premessa non ci convince per due ordini di motivi. Innanzitutto, crediamo che le imposte siano la concretizzazione del patto sociale, poiché sono il mezzo attraverso cui si raccolgono le risorse per pagare il welfare pubblico, la sanità, l’istruzione, gli investimenti pubblici, a livello nazionale come locale. Inoltre, CGIL, CISL e UIL credono che il modello liberista che prevede “Meno Stato e più mercato” sia sbagliato, tanto più dopo che la pandemia ha dimostrato quanto alle persone, nel momento della difficoltà, sia necessario un intervento pubblico. Ciò non vuol dire che non si debba o non si possa ridurre l‘imposizione fiscale su alcuni contribuenti, ma ciò deve essere fatto mantenendo un gettito sufficiente affinché l’operatore pubblico possa ottemperare a tutte le funzioni necessarie. Inoltre, ricordiamo che CGIL, CISL e UIL stanno contestualmente chiedendo interventi per rispondere all’aumento del costo della vita a causa del picco di inflazione (8,3% ad aprile, 12,1% il carrello della spesa) dovuto all’aumento dei beni energetici. Chiediamo un intervento strutturale di adeguamento delle detrazioni all’inflazione per contrastare il fiscal drag che sia compensato dalla tassazione degli extraprofitti, dall’incremento delle imposte sui redditi più alti e all’interno di una ricomposizione ed estensione della base imponibile. Il gettito derivante dalla tassazione sugli extraprofitti è stato addirittura diminuito con una restrizione della base imponibile.

A quanto riportato, ad oggi, non ci sono risposte.

Chiediamo che venga previsto già nel testo della delega un percorso di negoziazione con le parti sociali e con il Sindacato.

 

Risorse

 

Una riforma fiscale che preveda solo riduzioni delle imposte pone il problema delle risorse a copertura. La spiegazione secondo cui esse saranno reperite all’interno del sistema attraverso il taglio delle tax expenditures (si veda di seguito) non sembra essere credibile.

La revisione delle detrazioni/deduzioni dovrebbe essere realizzata in un’ottica soprattutto di semplificazione ed efficienza del sistema fiscale, non riponendo su questi interventi aspettative di recupero di risorse capaci di finanziare la riforma del fisco. Benché, infatti, esistano margini di risparmio, come valutato da alcuni istituti di ricerca, la salvaguardia delle detrazioni/deduzioni più importanti non consentirebbe a nostro avviso recuperi davvero significativi. Il fatto che il Governo individui, invece, in queste voci una importante potenziale forma di copertura ci preoccupa non poco. Il rischio appare, quindi, che le minori entrate siano nel tempo compensate da minore spesa pubblica.

Sosteniamo inoltre che l’imposta sugli extraprofitti diventi strutturale per attuare concretamente il principio di solidarietà fiscale.

L’ultimo articolo della legge delega opera due importanti specifiche, ovvero prevede che dai decreti delegati “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e non deve derivare incremento della pressione tributaria rispetto a quella risultante dall’applicazione della legislazione vigente”. Queste dichiarazioni potrebbero essere finalizzate a rassicurare le istituzioni europee. Da questa prospettiva si determina un sostanziale immobilismo, visto che non appare credibile la mobilitazione di risorse importanti dalle tax expenditures. Ma esiste anche la possibilità che l’azione di tagliare le imposte possa essere compensata da un robusto taglio della spesa, in modo che la spesa netta primaria non finisca sotto la lente della Commissione. Tale sospetto è avvalorato dal nuovo Documento di Economia e Finanza, il quale sembra implicitamente fare richiamo a politiche di austerity in nome della sostenibilità finanziaria.

 

Imposte sui redditi personali

 

All’articolo 5, sulla revisione delle imposte personali sul reddito, la legge definisce l’obiettivo di una aliquota unica. Nell’incontro con il Governo ci è stata preannunciata, come primo step, una riduzione del sistema verso 3 aliquote, quindi con meno progressività. L’obiettivo dichiarato, come scritto, è la flat tax, che significa non riconoscere che lo Stato debba chiedere imposte diverse perché diversa è la “capacità contributiva” tra chi guadagna 10.000 euro e 150.000 o milioni. È quella che si chiama “equità verticale”.

C’è poi un tema di “equità orizzontale”, cioè che a parità di reddito, tutti dovrebbero pagare le stesse tasse. Ora non è così, visto che un reddito da lavoro, e ancor più un reddito da pensione è svantaggiato rispetto ad un reddito da lavoro autonomo in flat tax forfetaria (che non viene abrogata dalla Delega), rispetto ad una rendita finanziaria o immobiliare, e nei fatti, per il fisco, nel concorrere al finanziamento dei beni pubblici le persone che per vivere devono lavorare sono costrette a pagare più di quanti vivono riscuotendo affitti, o cedole, o plusvalenze. E nulla di tutto ciò è messo in dubbio nella delega. Anzi, essa prevede addirittura l’estensione della cedolare secca anche per gli affitti di immobili non ad uso abitativo.

Riteniamo che tale estensione non debba essere perseguita, giacché determinerebbe esclusivamente una riduzione di progressività e di gettito. Ribadiamo anzi che il primo obiettivo di una riforma fiscale dovrebbe essere l’estensione della base imponibile IRPEF, affinché includa tutta quella serie di redditi ora esclusi.

Inoltre, una misura già iniqua di suo, ovvero la flat tax incrementale per il lavoro autonomo, sembra voglia essere estesa anche al lavoro dipendente. Tale estensione appare inopportuna se applicata ai dipendenti che, nella gran parte dei casi, non hanno la possibilità di definire il proprio reddito.

Menzione merita anche la proposta di unificazione di redditi di capitale e redditi diversi la quale, specie nel momento in cui non vengono inseriti correttivi e limitazioni, fornisce possibilità di compensazione (perdite che vanno ad abbassare l’imponibile di guadagni su altri investimenti) che danno adito ad una serie di arbitraggi (ovvero comportamenti ai limiti dell’elusione) vista la facilità con cui è possibile “creare” minusvalenze ed abbattere, quindi, l’imponibile su cui pagare l’imposta. La via da seguire è invece esattamente quella opposta. Come da piattaforma unitaria, è necessario estendere il più possibile la base imponibile affinché un reddito davvero “complessivo” del contribuente sia assoggettato ad un prelievo davvero progressivo.

 

Tax expenditures

 

Nell’incontro del 14 marzo il Governo ha più volte sottolineato che le risorse saranno trovate attraverso il “riordino” delle tax expeditures o spese fiscali che concorrono a determinare l’aliquota che è effettivamente pagata da lavoratori e pensionati.

CGIL, CISL e UIL rivendicano da tempo la necessità di un riordino delle tax expenditures (alcune risalgono addirittura a dei regi decreti), che sia volto a recuperare sistematicità, a controllarne l’efficacia, a tagliare quelle dannose – con riferimento, ad esempio, alla sostenibilità ambientale – ma il tutto dev’essere fatto con moderazione e non può essere giustificato solo da ragioni di gettito.

Soprattutto non deve finire per essere incrementata la reale aliquota media applicata a lavoratori e pensionati, che è determinata anche dalle spese fiscali.

Valutiamo condivisibile la tutela di alcune categorie di detrazioni (istruzione, salute, ambiente, efficienza energetica, rischio sismico, barriere architettoniche) ma riteniamo che considerata la dinamica demografica andrebbe inserita anche la voce relativa all’assistenza di non autosufficienti e anziani.

E nell’ottica di un riordino, sarà fondamentale rendere finalmente più equa la curva delle detrazioni.

Aggiungiamo che la decontribuzione temporanea, specie dopo l’intervento del Governo, finisce per penalizzare molto chi ha redditi di poco superiori ai 35.000. Sarebbe urgente introdurre una fascia di décalage.

 

Lotta alle diseguaglianze e per la solidarietà sociale

 

Le diseguaglianze nel nostro paese hanno raggiunto negli ultimi anni dimensioni preoccupanti, anche per effetto dei 10 anni di crisi, e oggi sono ancor più aggravate dalla pandemia, generando un’enorme ingiustizia sociale. Secondo il rapporto Oxfam “La pandemia della diseguaglianza”, i 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte). La ricchezza netta complessiva dei miliardari italiani ammontava a inizio novembre 2021 a 185 miliardi di euro, mostrando un incremento in valori reali del 56% dal primo mese della pandemia (+66 miliardi di euro).

L’Italia è uno dei paesi al mondo con il maggiore debito pubblico, ed è notorio, ma è anche uno dei paesi con la maggiore ricchezza privata. Vuol dire che per decenni si sono socializzate le perdite e privatizzate le ricchezze.

La delega non riforma l’imposizione di queste basi imponibili, che in questo momento sono tassate in maniera diffusa e poco progressiva. La valutazione della “capacità contributiva” dovrebbe considerare la situazione complessiva del contribuente.

È un tema che riguarda da vicino anche la “mobilità sociale”, cioè la possibilità di cambiare la propria condizione economica di partenza.

 

Lotta all’evasione fiscale

 

La legge delega prevede di affrontare il tema dell’evasione attraverso degli accordi coi piccoli contribuenti e la collaborazione con le grandi imprese. Nel nostro paese l’evasione fiscale veleggia attorno ai 100 miliardi, dei quali solo 15 (e sono 15 di troppo) ascrivibili all’elusione internazionale dei grandi gruppi. Significa che la gran parte è evasione diffusa. Parlare di «evasione di necessità» in un Paese con oltre 100 miliardi di evasione fiscale è fuori dalla realtà. I lavoratori dipendenti e i pensionati non possono fare la cosiddetta “evasione di necessità”, perché prima pagano le tasse e poi prendono lo stipendio e la pensione.

Se il Governo vuole essere coerente consenta allora anche ai pensionati con pensioni sotto i 1000 euro e ai lavoratori con stipendi da fame di fare questa “evasione di necessità”.

Definire in un accordo quale debba essere l’importo delle imposte da versare o l’imponibile da considerare significa dare per scontata e tollerare l’evasione fiscale. Dopo i 12 condoni della legge bilancio 2023 si arriverebbe ad una sorta di “condono preventivo”, nonché un vero e proprio condono penale. Il risultato è un incentivo ad evadere le tasse con la consapevolezza di poter sanare successivamente ed eventualmente la propria posizione con il fisco. È un indirizzo che, come sindacati, rigettiamo in modo netto: quello dell’evasione fiscale è un vulnus di democrazia che va affrontato in modo serio. Considerato che in altri paesi pagare le tasse è il prerequisito per accedere ai diritti di cittadinanza e ricordando come l’Italia abbia la maglia nera per quantità di evasione, le scelte della delega fiscale ci sembrano tutto il contrario di quanto sosteniamo. La via maestra dev’essere quella di fare controlli e di punire gli evasori, l’unico meccanismo premiale dev’essere rivolto ai contribuenti onesti che il proprio dovere con il fisco lo assolvono, come i lavoratori dipendenti e i pensionati. Positiva invece appare la volontà di proseguire sulla telematizzazione e sull’incrocio delle banche dati. Chiediamo che questa parte sia la prima a vedere applicazione attraverso i decreti delegati.

 

Imposte sulle imprese

 

La delega prevede la riduzione dell’IRES e di abolire, in prospettiva, l’IRAP, ovvero

l’unica imposta attraverso cui le imprese finanziano direttamente la sanità regionale.

Se consideriamo che anche il lavoro autonomo e i piccoli imprenditori con la flat tax non pagano più le addizioni regionali e comunali abbiamo che il peso del fisco (quindi del welfare) locale è esclusivamente sulle spalle di dipendenti e pensionati.

A questo proposito sollecitiamo il Governo ad inserire nella delega una cornice di riferimento di tributi propri regionali non legati esclusivamente alla base imponibile IRPEF, capaci di finanziare tutte le spese attribuite alle Regioni, a partire dalla sanità.

Siamo contrari all’eliminazione dell’IRAP e alla sua sostituzione con una addizionale IRES. Non è una soluzione corretta, e rischia comunque di escludere molti contribuenti dal finanziamento del welfare, anche accentuando le diseguaglianze territoriali. Più in generale, la riduzione delle aliquote IRES – come riporta uno studio dell’UPB 2018 – determina l’utilizzo di risorse con minore effetto moltiplicatore, cosa che, in un contesto di assenza di politiche industriali pubbliche, diviene delega al privato nella direzione dell’economia. La selettività è stata declinata con la reiterazione del “modello 4.0”; nella norma si parla di “riduzione dell’aliquota IRES in caso di impiego in investimenti, con particolare (quindi neanche esclusivo ndr) riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni”. Quindi comprendiamo che la qualità dell’investimento non è determinata dall’occupazione e sostanzialmente soddisfano questa condizionalità anche investimenti che fino ieri erano sostenuti da poste aggiuntive, mentre diventeranno strutturale riduzione delle entrate. Se il tema delle politiche industriali si declina solo come politica tributaria, esso diventa poco controllabile a priori, poco indirizzabile nel suo percorso, e determinato esclusivamente dal calcolo del profitto individuale o aziendale. Si rischia, inoltre, di agire esclusivamente sulla domanda senza ristrutturare l’offerta di beni – tra cui gli investimenti – e servizi, specie nei contesti in cui il capitale ricerca la redditività a breve. La giustificazione della maggiore competitività come base per ridurre l’imposta, in virtù della prossima applicazione della minimum tax al 15% per le multinazionali, segue un orientamento economico al quale siamo contrari.

 

Fusione di Agenzia delle Entrate Riscossione in Agenzia delle Entrate

 

Questa proposta era presente anche nella scorsa delega. Non è accettabile che tale progetto venga messo in atto senza un preventivo e approfondito confronto con i lavoratori del settore. La riforma del servizio nazionale della riscossione è già stata attuata con la Legge 225/2016, e le successive modificazioni introdotte dalla Legge 234/2021.

Infatti, l’Ader è l’Ente strumentale di Agenzia delle Entrate soggetto all’indirizzo operativo, al controllo e alla vigilanza della stessa.

Per rendere più efficiente ed efficace la riscossione non servono ulteriori riforme organizzative, ma devono essere modificate le norme procedurali che ne regolamentano l’attività.

 

Conclusione

 

Nella delega (articolo 20) viene esplicitamente affermato che non devono derivare dalla delega oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, né deve derivare un incremento di pressione tributaria. In base a questo principio, a meno di non lasciare tutto come è, la conseguenza non può che essere che la riforma si attui attraverso lo spostamento di imposte da gruppi di contribuenti ad altri. Ammesso che ciò sia praticabile, riteniamo che qualsiasi impostazione si scelga non possa prescindere dalla necessità di alleggerire il carico fiscale su coloro che, da sempre, lo sostengono con puntualità e lealtà per la quasi interezza: i lavoratori dipendenti ed i pensionati. A tal fine Cgil, Cisl e Uil ritengono ineludibile l’allargamento della base imponibile d’imposta.

A conti fatti, la nostra prima analisi evidenzia molte incoerenze tra gli obiettivi dichiarati, la natura dei provvedimenti indicati e la sostenibilità finanziaria degli stessi. A ciò si aggiunge una preoccupazione sul metodo sin qui seguito che speriamo non debba proseguire anche nell’iter previsto per l’emanazione dei decreti delegati.

Su alcune questioni di principio, come la difesa della progressività delle imposte sul reddito, la nostra contrarietà all’impostazione della legge delega è ferma e risoluta, su altri temi, quali la semplificazione delle procedure di accertamento, non abbiamo pregiudizi ma riteniamo che ci sia un forte bisogno di approcciare con cautela e attenzione la materia.

In conclusione, possiamo affermare che la struttura della delega fiscale è in sostanziale continuità con quanto fatto dal Governo in legge di bilancio 2023, vale a dire privilegiare una impostazione corporativa sulla base degli interessi del blocco sociale di riferimento. È quanto di più distante dallo schema unitario di riforma condiviso da Cgil, Cisl e Uil: oltre al metodo sbagliato perché non ha visto il coinvolgimento delle OOSS, anche il merito ha profili di estrema criticità. Per queste ragioni la rivendicazione di una riforma fiscale equa e progressiva, finalizzata allo sviluppo del paese è oggetto anche delle iniziative di mobilitazione che intendiamo mettere in campo unitariamente