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Analisi e proposte della UIL alla manovra di bilancio 2024-2026

Non è sicuramente una manovra di ampio respiro quella varata dal Governo. È una manovra che non sembra cogliere le tante emergenze del Paese e non contrasta adeguatamente le vecchie e nuove disuguaglianze.

 

L’esonero parziale dei contributi non prevede lo stanziamento di risorse aggiuntive rispetto a quelle già in essere ed è valido solo per il 2024, quando avevamo chiesto che venisse reso strutturale per dare stabilità a lavoratori e lavoratrici. Tale misura viene inoltre finanziata a deficit, scaricandone l’onere sulle spalle delle future generazioni, mentre le entrate potevano essere recuperate da un potenziamento dell’imposta sugli extraprofitti e da una tassa sulle transazioni finanziarie.

 

La riduzione dell’Irpef a tre aliquote determina un incremento netto in busta paga di entità modesta e insufficiente a recuperare il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, diminuito di circa il 20%. La lotta all’evasione fiscale, priorità ed emergenza del nostro Paese, resta solo accennata: dopo i 14 condoni in un anno l’approccio sembra rimanere quello di un fisco forte con i deboli e remissivo con i forti.

 

Nessun superamento della Legge Fornero sulle pensioni, ma anzi addirittura viene previsto un inasprimento delle condizioni di accesso. Quota 103, Opzione Donna, Ape sociale riproposte con requisiti e penalizzazioni ancora più stringenti, mentre per i giovani che andranno in pensione con il sistema contributivo puro si prospettano precarietà e un’uscita dopo i 70 anni.

 

Niente riguardo a una Pensione di Garanzia per i giovani, nulla per valorizzare il lavoro di cura delle donne, permane il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, mentre per le lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego si riscontra la più grande operazione di cassa mai fatta sui futuri pensionandi.

 

Non vediamo provvedimenti per contrastare la precarietà e non c’è nulla per combattere la piaga delle morti sul lavoro.
Le risorse stanziate per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego risultano completamente insufficienti a dare risposte ai professionisti della pubblica amministrazione tutta. Si caratterizzano così come affermato dallo stesso ministro, al di sotto dell’indice Ipca e altresì insufficienti a recuperare il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori del settore, eroso dall’inflazione.

 

Non ci convince la scelta dell’anticipo del rinnovo, che non solo estromette la funzione della contrattazione dalla sua funzione ma crea una discriminazione fra lavoratori e lavoratrici alle dipendenze dello Stato e lavoratori e lavoratrici degli Enti Locali, che rischiano di non vederlo applicato laddove non siano capienti i bilanci dei propri enti.

 

In sanità con una spesa che continua ad attestarsi a circa il 6,2% del Pil, tra la più basse d’Europa, il Governo non presta attenzione alle lavoratrici e i lavoratori del settore. Nei prossimi anni il Servizio sanitario nazionale sarà destinato al default e vedrà l’emigrazione di migliaia di professionisti. I 2.7 miliardi destinati al rinnovo del contratto della sanità sono insufficienti e non ne è ben chiara la destinazione. Non intravediamo alcun rilancio per il futuro del finanziamento pubblico, anzi, la manovra elargisce regali alle aziende private del settore sanitario senza alcuna condizionalità che li leghi ai Ccnl e al rispetto delle norme sulla sicurezza.

 

La manovra è piuttosto debole e carente di interventi sulla principale priorità del Paese, ovvero la protezione delle retribuzioni di lavoratrici e lavoratori dalla più grande spirale inflattiva degli ultimi decenni. Le risorse destinate alle famiglie e alle politiche sociali sono insufficienti.

 

Non vi è traccia né prospettiva al ripristino o alla costruzione di uno strumento universale per il contrasto alla povertà, necessario per dare risposte ai bisogni reali delle persone. Non ci sono linee di intervento strutturali su come affrontare la questione demografica e conseguentemente, quella sui servizi alla persona e al lavoro di cura. Una manovra questa che non
affronta in maniera sistemica il carico familiare, l’assistenza all’infanzia, ai disabili e agli anziani. La manovra non presta particolare attenzione sociale alle donne in quanto tali né tantomeno incentiva la natalità e la genitorialità, ma prevede tutta una serie di “bonus” per le sole donne in quanto madri.

 

Non c’è attenzione sufficiente per ridurre i divari territoriali e per garantire i diritti di cittadinanza uniformi su tutto il territorio nazionale. Gli investimenti quali unici “driver” per rilanciare crescita, sviluppo, occupazione e benessere sociale
sono demandati esclusivamente alle risorse del PNRR e a quelle della coesione europee e nazionali.

 

Il Mezzogiorno continua ad essere il grande assente. La realizzazione di una ZES unica “Mezzogiorno”, a carattere generalista, resta una scelta sbagliata e controproducente per il futuro di questa parte del Paese. Tra l’altro, con la rimodulazione del PNRR è a rischio la quota del 40% del piano al Mezzogiorno e con lo spostamento delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), per coprire i progetti definanziati, si rischia di dare ai territori di questa parte del Paese risorse già di loro competenza.

 

Il vuoto della Legge di Bilancio in materia di politiche industriale è molto grave: in un momento storico chiave per le molteplici transizioni che stanno impattando sull’intera industria europea, gli interventi di politica industriale dovrebbero  rappresentare il cuore di una manovra economica. Dopo sette anni in cui si è tenuto in debito conto la finanza locale, in nome della spending review, si torna a tagliare risorse a Regioni ed Enti Locali, con il risultato che di tagliare servizi e aumentare tasse e tributi locali.

 

Questa manovra contiene tanti provvedimenti sbagliati, molti con risposte parziali per il contrasto alle disuguaglianze, e sicuramente si contraddistingue per tutti i provvedimenti che non contiene. In sintesi, nella manovra non ci sono le risposte alle nostre proposte inserite nelle piattaforme unitarie. E sono questi i motivi alla base delle nostre mobilitazioni.

 

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