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A Bologna la mostra fotografica a cura
di Urs Stahel promossa
da Fondazione MAST

Dal 25 gennaio all’1 maggio 2023 sono in mostra alla Fondazione MAST di Bologna i lavori dei cinque finalisti del MAST Photography Grant on Industry and Work – Farah Al Qasimi, Hicham Gardaf, Lebohang Kganye, Maria Mavropoulou e Salvatore Vitale –, tutti accomunati da un’attenzione particolare verso i mutamenti che interessano l’essenza stessa del lavoro.

Farah Al Qasimi si focalizza sulla grande comunità araba di Dearborn (Michigan, USA), la seconda per grandezza negli Stati Uniti, e crea un amalgama tra gli scorci di vita autentici della città e la sua dimensione più patinata. Dearborn mostra un carattere ibrido che è espressione di due culture, quella araba e quella statunitense.

Ambientato a Tangeri, in Marocco, il progetto In Praise of Slowness di Hicham Gardaf si concentra sul contrasto tra la parte prospera e in espansione della città, e il centro storico con il suo fascino antico. Nel suo lavoro riprende i venditori ambulanti che passano di casa in casa per portare la candeggina e poi raccolgono le bottiglie di plastica vuote. Un rituale che trova la sua ragione d’essere in un ambito sociale e culturale caratterizzato dalla deterritorializzazione capitalista.

In Keep the Light Faithfully Lebohang Kganye evoca, tra fantasia e realtà, la vita delle guardiane dei fari in Sudafrica. Autrice di un lavoro che non è solo fotografico, l’artista propone una sorta di teatro delle ombre cinesi suggestivo, immaginifico e realistico al tempo stesso.

In In their own image, in the image of God they created them Maria Mavropoulou inserisce una serie di richieste testuali in un algoritmo di conversione del testo in immagini: ‘una struttura complessa e sofisticata di tubi, valvole e manometri utilizzata nelle raffinerie di petrolio’. L’intelligenza artificiale, che dispone di miliardi di dati e fotografie, produce diversi risultati visivi che poi Mavropoulou utilizza come tasselli nelle sue composizioni.

Death through GPS di Salvatore Vitale accosta fotografie documentarie di eventi reali e video di sabotaggi inscenati, invitandoci a riflettere sulla vicenda problematica dell’uomo che sperimenta l’avvento di una nuova rivoluzione tecnologica. Il fulcro è la regione del Gauteng, in Sudafrica, dove Vitale rintraccia un legame tra la gig economy, l’attività mineraria e il concetto di sabotaggio tecnologico. Nello scenario del tardo capitalismo, le persone sono ridotte a “estensioni di software”.

 

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