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‘7 minuti’. Considerazioni
di Sandro Colombi

Sandro Colombi, Segretario generale UILPA

Sono molto orgoglioso del fatto che la mia organizzazione sindacale sia stata tra i promotori di questa iniziativa insieme all’Associazione culturale È tutta scena. E sono molto soddisfatto per la piena riuscita della serata. Il Teatro era pieno in ogni rodine di posti, il pubblico molto attento e soddisfatto per una recitazione di grande qualità.

 

Perché abbiamo deciso di dare il nostro supporto a una rappresentazione teatrale di questo tipo?  Beh, intanto perché esiste una lunga tradizione di teatro operaio. Tradizione che penso andrebbe valorizzata perché, dobbiamo dircelo con molta franchezza, il lavoro emerge solo raramente come oggetto di rappresentazione nel mondo dello spettacolo. Un mondo che punta essenzialmente a far dimenticare la realtà quotidiana. Però in questa realtà il lavoro, con buona pace per tanti eminenti studiosi, è ancora il modo con cui la maggioranza delle persone si procura un reddito, dà senso alle nostre vite ed è un principio ordinatore della nostra società. Perciò ben vengano queste iniziative.

 

Come è stato detto il tempo è uno dei protagonisti principali della nostra commedia, a iniziare dal titolo. Ora, come voi tutti saprete, quando si esce dal linguaggio comune con cui ci si muove nella vita quotidiana e ci si interroga su una parola apparentemente molto semplice come lavoro le cose si complicano enormemente. Infatti è dalla prima rivoluzione industriale che economisti, filosofi, sociologi si accapigliano per definire cosa è il lavoro e ancora non si sono messi d’accordo.

 

La definizione di lavoro per me più rispondente alla realtà delle cose: lavora chi vende il proprio tempo. Questa definizione ci fa immediatamente capire che il padrone di una fabbrica manifatturiera o di un’agenzia di servizi non lavora. Infatti, non percepisce uno stipendio, ma un profitto, non sciopera, non manifesta in piazza, non viene licenziato e dispone liberamente del proprio tempo. Inoltre, fa una cosa molto interessante: compra il tempo dei lavoratori. E per questo è stata coniata quell’orrenda espressione che è mercato del lavoro.

 

Le parole sono importanti. Mercato del lavoro significa che tu sei un costo come un altro, esattamente come una macchina. E come il tempo della macchina si misura in relazione alla sua durata e alla sua velocità così anche il tempo del lavoro umano. Ed ecco che allora i nuovi proprietari della fabbrica possono permettersi di chiedere alle operaie di rinunciare a 7 minuti della loro pausa pranzo.

 

D’altra parte le macchine non mangiano e non hanno bisogno di pause. Non solo, le macchine non si ammalano, non discutono e non scioperano. Il lavoratore ideale per il padrone è proprio questo: la macchina. Sennò come vi spiegate il processo di automazione che ha mietuto in passato milioni di posti di lavoro a partire dalla prima grande ondata di automazione della manifattura negli anni ’50 del ‘900? Come spiegate l’attuale accelerazione della tecno-scienza ormai diventata un fattore della produzione? La domanda che tutti ci facciamo è questa: il futuro sarà senza lavoro?

 

Nessuno può rispondere a questa domanda con certezza anche se in tantissimi ci provano ogni giorno e da molti anni. La realtà del lavoro intanto è questa: l’orario di lavoro di fatto aumenta, i ritmi si fanno sempre più pressanti, i diritti vengono progressivamente negati, i salari e gli stipendi non bastano più ad arrivare a fine mese. Come se non bastasse il ricatto padronale è sempre più sfacciato: se non ti pieghi ti licenzio, perché la legge sta dalla mia parte, perché delocalizzo e perché posso fare quello che mi pare.

 

È esattamente in questa situazione che si sono trovate le operaie della nostra commedia. Che cosa oppongono alla loro riduzione a macchine? Oppongono il tempo della vita quotidiana, oppongono il ritmo del giorno per giorno, oppongono il tempo della vita umana. Tutti tempi fatti di necessità, bisogni, speranze e paure. Oppongo un tempo umano. Un tempo che la macchina non conosce. Senza voler anticipare la trama della nostra pièce credo che la rivendicazione di un tempo umano sia se non il messaggio principale, almeno uno dei messaggi principali di 7 minuti.

 

Vorrei concludere questo mio intervento con una poesia di Bertold Brecht intitolata A chi esita.

 

Dici:

per noi va male. Il buio

cresce. Le forze scemano.

Dopo che si è lavorato tanti anni

noi siamo ora in una condizione

più difficile di quando

si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi

più potente che mai.

Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso

una apparenza invincibile.

E noi abbiamo commesso degli errori,

non si può negarlo.

Siamo sempre di meno. Le nostre

parole d’ordine sono confuse. Una parte

delle nostre parole

le ha stravolte il nemico fino a renderle

irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?

Qualcosa o tutto? Su chi

contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti

via dalla corrente? Resteremo indietro, senza

comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti

nessuna risposta

oltre la tua.

 

Roma, 25 gennaio 2024

 

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

 

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