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03.09.2014 – Non è un paese per single: il mobbing sulle donne “senza famiglia”

donna al pc

Si parla spesso di mobbing ai danni delle donne e, in particolare, di lavoratrici che sono anche madri, ed è certamente questa la forma più violenta, subdola e dolorosa di porre in atto questa forma di maltrattamento psicofisico sul lavoro.
Esiste però anche un altro tipo di mobbing, meno appariscente, forse anche meno conosciuto e codificato, figlio di evoluzioni sociali sviluppatesi negli ultimi 10-15 anni e quindi non ancora ben riconoscibili e riconosciute: il mobbing a danno delle donne single.
Lavoratrici, cioè, che non hanno figli e in molti casi neanche un compagno e che quindi, per il solo fatto di essere considerate totalmente “libere”, sono costrette a sopportare un sovraccarico lavorativo e psicologico che da colleghi e superiori viene talvolta sottovalutato se non completamente ignorato.

Ferie scomode e molestie sessuali
“Le ferie sul lavoro –  spiega Alessandra Menelao, responsabile nazionale dei centri di ascolto Mobbing&Stalking della Uil – sono organizzate sulla base di scelte organizzative che, talvolta, possono essere influenzate anche dal fattore “singletudine”, favorendo le donne con i figli. Questo è un fenomeno che si verifica molto spesso nei luoghi di lavoro privati. Le donne single subiscono, inoltre, il mobbing sessuale, ovvero molestie messe in atto da colleghi e superiori, finalizzate a danneggiare immagine e carriera della persona in questione”.
“Ogni giovane donna – spiega Adelia Lucattini, psichiatra psicoterapeuta e psicoanalista di Roma – si è trovata a dover affrontare le forche caudine degli ammiccamenti o delle battute a sfondo sessuale, o tentativi di seduzione e inviti, almeno una volta nella propria vita professionale. Ma questa è un’evenienza meno frequente di quello che si pensi, soprattutto dopo la regolamentazione dal punto di vista legislativo delle molestie sul posto di lavoro. Da una single sul posto di lavoro ci si aspetta, inoltre, maggiore flessibilità negli orari, maggiore disponibilità di tempo e flessibilità nell’accettare trasferte esterne o spostamenti in altre sedi. Di fatto, anche queste donne subiscono una sorta di discriminazione che le porta a rinunciare, all’inizio magari volontariamente, in seguito per non perdere le posizioni professionali acquisite, a una vita privata, sia con un compagno che con dei figli”.
Le ferie sono un punto critico e, spiega Lucattini, anche se ufficialmente questo non è riconosciuto né viene ammesso, i turni più scomodi, i ponti, i periodi in cui ci sono vacanze scolastiche, vengono solitamente dati a donne che non hanno famiglia. “Tutti i single, nell’ambito del mondo del lavoro, ricevono in realtà un trattamento diverso rispetto alle persone che hanno una famiglia propria, ma alle donne viene spesso riservato un trattamento “speciale”, discriminante, figlio di un retroterra culturale che non concepisce o non accetta la lavoratrice come libera e indipendente”, precisa la psichiatra.

Pressioni psicologiche
Le pressioni, su queste donne, vengono esercitate in vari modi, dalla richiesta fatta come “favore personale” da parte di superiori o o colleghi, a situazioni di cattiva redistribuzione dei carichi di lavoro, in cambio di prospettive di avanzamento di carriera e ferie future. “Spesso questo tipo di “violenze” vengono esercitate in modo formalmente corretto e legalmente inattaccabile  –  continua Lucattini  –  e si tratta principalmente di pressioni psicologiche o di forme di “captatio benevolentiae” che presuppongono o garantiscono gratificazioni future. Purtroppo, l’esperienza mostra che non sempre questi sacrifici vengono ripagati in modo equilibrato, né con un mutuo scambio di favori tra colleghi, né con la garanzia che la serietà personale e la disponibilità vengano interpretate correttamente come “merito”, aprendo reali prospettive di riconoscimento personale o eventuali avanzamenti professionali”.
È necessario precisare, continua Lucattini, che in alcuni ambienti professionali, soprattutto dirigenziali, viene esplicitamente chiesto alle donne single non tanto di non sposarsi o non avere un compagno, ma di non avere figli per un certo periodo, di solito pari a due anni, e spesso vengono favorite le donne che hanno un compagno nella stessa azienda. “Questo tipo di situazione, spesso riscontrata parlando con pazienti, costituisce di per sé un condizionamento psicologico importante, perché una donna che ha fatto un grande investimento su se stessa dal punto di vista degli studi, della formazione e della professione, può vivere più o meno consapevolmente come un “danno” il fatto di perdere lo status di single. Da questo condizionamento possono derivare conseguenze diverse: alcune donne si sentono costrette a nascondere di avere una relazione e a comportarsi sul luogo di lavoro come se fossero single o non riuscissero a ingaggiare e a impegnarsi in relazioni che potrebbero essere vissute come un ostacolo rispetto alla propria realizzazione personale, favorendo così una dissociazione tra gli aspetti affettivi, emotivi, sentimentali della vita e quelli intellettuali e lavorativi”.

Rapporto problematico con i colleghi

I colleghi, spiega Menelao, raramente testimoniano a favore della lavoratrice single quando questa denuncia le molestie subìte e i superiori difficilmente credono alle denunce delle donne single, né lottano affinché venga dato loro adeguato supporto da parte dell’azienda. La donna single, sul luogo di lavoro, può infatti essere vissuta come un’avversaria o una “preda” potenziale. “Questo  –  spiega Lucattini – comporta una certa aggressività da parte dei colleghi uomini ma anche delle colleghe coniugate”.
Le madri hanno, d’altro canto, delle esigenze molto particolari, in quanto costrette a dividersi tra lavoro, casa e famiglia. “Accade che si appoggino o scarichino le proprie tensioni, le proprie necessità sulle colleghe single  –  spiega Lucattini – a cui possono rivolgersi chiedendo aiuto, favori, premure. Se ci sono asperità tra donne con figlie e donne senza figli, queste dipendono quasi sempre da rapporti di lavoro. Più frequente invece è la solidarietà tra donne con figli, che tendono a fare gruppo nei confronti delle colleghe single, erroneamente viste come delle “privilegiate”, con più tempo a disposizione per se stesse e anche per il lavoro”.

Eccessive pretese dei capi ufficio

Per quanto riguarda, invece, i capi ufficio, ci sono dei superiori che hanno l’attitudine paterna e che vivono le giovani dipendenti single come delle figlie, da cui pretendono e che magari mettono anche sotto pressione ma con un’attenzione particolare, finalizzata alla loro crescita professionale e talvolta anche personale. “Ci sono però altre situazioni  –  continua Lucattini – in cui i superiori, in virtù del loro ruolo, mostrano un atteggiamento di pretesa nei confronti delle donne single soprattutto se giovane o ai primi incarichi. Pretesa sia sul versante professionale, in termini di disponibilità di orario, flessibilità, mansioni extracontrattuali, talvolta anche di livello inferiore rispetto alla qualifica per cui la donna è stata assunta, sia sul piano personale, attraverso la seduzione e il corteggiamento”.

Un problema culturale

“Le politiche che si fanno in Italia –  precisa Menelao – non tengono conto del fatto che una persona single ha costi di vita fissi e mensili che deve per forza sostenere da sola. Per queste donne, manca totalmente una progettazione politica dei diritti e del lavoro”.
L’Italia non è insomma un paese per donne “sole”. Da noi vige ancora una cultura tradizionalista che vede i soggetti femminili come madri e mogli, relegando ai padri i ruoli inessenziali nella gestione della famiglia. “Alle donne single  –  conclude Menelao – non viene perdonata la libertà di scelta, di autodeterminazione e di autosufficienza. Fortunatamente, queste donne sono meno scisse degli uomini e riescono spesso a trovare molteplici interessi capaci di riempir loro la vita”.

L’equivoco di fondo
Questo fenomeno così complesso nasce, spiega Lucattini, da un equivoco di fondo in base al quale il tempo personale non viene pienamente considerato come un valore, e vi può essere inoltre un altro tipo fraintendimento per cui il tempo della donna single può essere considerato maggiore dal punto di vista quantitativo o di minor valore rispetto a quello della donna con figli, “circostanza  –  precisa Lucattini – che non è necessariamente vera, poiché le donne single per esempio possono avere genitori, fratelli, nipoti, amici e desiderare occuparsi di loro o dei loro figli, o voler dedicarsi al volontariato, indipendentemente dal proprio status anagrafico”.
Nel breve periodo e nelle prime fasi lavorative, conclude la psichiatra, le donne single sono sicuramente favorite in Italia rispetto a quelle con una famiglia, ma nel giro di pochi anni il rischio è quello della sclerotizzazione di situazioni professionali in cui queste non trovano più una propria strada personale da percorrere agevolmente e con naturalezza, impossibilitate cioè a poter scegliere se continuare a vivere da sole, in coppia, o se diventare madre o moglie.
Esistono però anche donne felicemente single che sono arrivate a questa scelta attraverso un percorso personale che le ha portate a operare una serie di scelte con maturità e consapevolezza e che quindi vivono con serenità e con piacere la propria condizione, donne, cioè, che hanno saputo impostare la propria vita personale, professionale e sociale in modo gradevole, circondate da amici e conoscenti, con o senza la propria famiglia di origine, organizzando in modo libero il proprio tempo suddiviso tra lavoro, divertimento e impegni. Sarebbe questa la condizione ideale in cui vivere, in Italia, lo status di single sul luogo di lavoro, per una donna. Una condizione che, per maturare a pieno, ha però naturalmente bisogno della collaborazione di tutta la società.

di Alessandra Menelao su “D di Repubblica”