I numeri del rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sono impressionanti: nel 2022, quasi 61 mila lavoratrici madri e lavoratori padri hanno rassegnato le dimissioni entro l’anno di vita del figlio nel 2022: è come se un’intera città media italiana fosse stata cancellata dalla cartina geografica.
Quelle relative alle donne sono “naturalmente” la stragrande maggioranza, quasi 45.000. I dati purtroppo ci richiamano ancora una volta alla triste constatazione di come ci sia ancora molto da lavorare sui servizi di conciliazione vita-lavoro.
Nel nostro Paese c’è un ritardo di offerta di tali servizi. E non si tratta soltanto degli asili nido, ma anche del tempo pieno nelle scuole primarie, dei servizi integrativi, quali pre e post scuola, e dei centri estivi pubblici.
Per non parlare dei servizi di cura di lungo periodo, che sappiamo ricadere spesso sulle spalle delle donne: nella manovra economica in discussione in Parlamento vengono completamente dimenticati. Tanto per fare un esempio: gli asili nido sono frequentati solo dal 26% dei bambini e bambine 0/2 anni, percentuale ben al di sotto della media UE che è del 35,3%.
Purtroppo, nell’accesso ai servizi, registriamo ancora disuguaglianze territoriali che non vengono sanate completamente dagli investimenti previsti dal PNRR. Tra l’altro, anche a causa della rimodulazione del Piano, risulta in diminuzione l’offerta dei posti. Oltretutto, c’è sì un problema di posti, ma anche di costi: un asilo nido per una famiglia media pesa 2.700 euro annui. Urgono, quindi, risorse e investimenti nazionali ed europei adeguati per uscire da questa impasse.