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Tutte le ragioni dello sciopero generale:
il discorso di Sandro Colombi a L’Aquila

Care compagne e cari compagni,

 

grazie a tutti voi per essere venuti in tanti qui oggi, in questa piazza, nel cuore di una città che è il simbolo del riscatto.

L’Aquila è il simbolo della lotta per riconquistare gli spazi che appartengono a tutti i cittadini. È il simbolo della forza di un popolo che non si arrende. Grazie davvero! Sono orgoglioso di essere qui con voi.

 

Come sapete oggi è un giorno speciale. È il giorno in cui le lavoratrici e i lavoratori italiani si fermano per riprendere un cammino interrotto verso una società più giusta. Oggi gridiamo ai palazzi del potere: basta!

Basta fare promesse che non riuscite a mantenere. Basta con un sistema economico fondato sullo sfruttamento del lavoro, sulle basse retribuzioni, sulla sempre più ineguale distribuzione della ricchezza.

 

Siamo arrivati a un tale grado di ingiustizia che avere un lavoro non è più un diritto, se mai lo è stato, ma un regalo concesso dai potenti ai più deboli. Oggi scioperiamo per dire ai politici che non ne possiamo più. Devono capire che il costo della vita ormai è talmente alto che con uno stipendio non si arriva a fine mese.

L’Italia è il paese dove i salari e gli stipendi sono i più bassi d’EUROPA.

 

L’Ocse, l’Eurostat hanno detto in maniera chiara che in Italia, trent’anni fa, si guadagnava di più rispetto ad oggi. Una ricerca realizzata dall’Osservatorio nazionale dei redditi e delle famiglie in collaborazione con il caf ACLI e l’IREF (istituto ricerche educative e formative) ha calcolato una perdita media di reddito familiare mensile di 240 euro dal 2019 al 2022.

 

Oggi lavorare significa essere poveri!

Ma mi chiedo e ci chiediamo: che società è questa, in cui milioni di persone con un lavoro stabile hanno difficoltà a fare la spesa, a pagare gli studi per i figli, a comprare le medicine per sé stessi e per i propri familiari, e sono costantemente preoccupate perché un qualsiasi imprevisto rischia di metterle in crisi?

Questa non è la società che vogliamo. Non è società.

 

È un sistema di potere che ci vuole tutti contro tutti per accaparrarsi le poche risorse che ci sono. Poche risorse per noi lavoratori. Mentre altri nuotano nell’oro. E allora faccio un’altra domanda: ma può reggere un meccanismo del genere?

Perfino nei settori che una volta erano considerati garantiti, il famoso posto pubblico, oggi si sente il morso della regressione materiale e sociale imposta dall’alto con una politica sconsiderata di tagli salariali.

 

Centinaia di migliaia di famiglie di lavoratori, pubblici e privati, si trovano a dover sperimentare ogni giorno l’abbassamento costante del proprio tenore di vita fino a sfiorare la soglia della povertà. A che punto è la notte per i salari e le retribuzioni nel nostro Paese? È notte fonda!

 

Anche per questo oggi scioperiamo. E questa piazza rappresenta il fronte avanzato di una protesta che sta prendendo sempre più corpo. Una protesta che nasce dalla sofferenza che proviamo ogni giorno vedendo crescere i problemi, vedendo l’incompetenza dei troppi raccomandati che la politica ha messo nei posti chiave delle istituzioni. Vedendo un’evasione fiscale mostruosa. Vedendo un’economia criminale che sta dilagando.

Insopportabile poi la supponenza degli esperti che non hanno mai messo piede in una fabbrica, in un cantiere, in un centro di ricerca e ci vengono a spiegare che va tutto bene, che l’occupazione è ai massimi storici. Ma lo sapete come lo calcolano il numero degli occupati in Italia? Gli occupati sono tutte le persone tra 15 e 89 anni che nell’ultima settimana hanno lavorato almeno un’ora! Quello viene considerato un posto di lavoro.

 

Basta prenderci in giro con le statistiche. Politici, giornalisti, esperti ci fanno sanguinare le orecchie tutti i giorni parlando di riforme, di PNRR, di intelligenza artificiale, di sicurezza sul lavoro, di ambiente e di sostenibilità. Ma quando poi chiediamo di essere ricevuti dal governo per mettere le carte in tavola, quando chiediamo di entrare nel merito dei problemi, ci dicono che l’adeguamento delle pensioni è di tre euro al mese, che l’età pensionabile si alza a 70 anni, che i soldi per i rinnovi contrattuali non ce ne sono e ci chiedono di dire che va tutto bene.

 

Noi di ordini dalla politica non ne prendiamo. La propaganda la lasciamo ad altri. E a proposito di propaganda parliamo dei morti sul lavoro…

 

Sappiamo bene che la politica non è stata mai così genuflessa agli interessi economici delle élite come in questo periodo. Eppure riescono sempre a stupirci. Hanno creato la patente a punti per le imprese che non rispettano le norme in materia di salute e sicurezza. Come se la morte di un lavoratore o la sua invalidità fossero l’equivalente di un’infrazione stradale. Come se il valore della vita umana si potesse calcolare con l’algoritmo.

 

Lascio a voi immaginare quanto diminuiranno gli incidenti sul lavoro con questo meccanismo! Aspettiamo i prossimi bollettini dell’INAIL. O forse ormai sarebbe meglio chiamarli: bollettini di guerra!

1200 morti l’anno sul lavoro e mezzo milione di infortuni… e fanno la patente a punti!

Vergogna!

Sempre a proposito di propaganda, parliamo della sanità pubblica.

 

I politici fanno a gara per intestarsi il merito di chi la difende di più. A sentirli parlare, sembra che ogni legislatura abbia rovesciato un fiume di denaro in più sugli ospedali, sulle ASL, sul personale sanitario, sui pronto-soccorso. Ventotto miliardi! No, trenta miliardi! No, trentaquattro! No, trentasette! Ambo, terno, tombola e cinquina, lo cantava Rino Gaetano tanti anni fa.

 

Ma le vere condizioni in cui è ridotta la sanità pubblica in Italia le sopporta ognuno di noi. E sono condizioni penose! Provino i politici a prenotare una visita specialistica presso un CUP come noi comuni mortali e si accorgerebbero di come funziona la sanità pubblica.

 

La sanità si trova in condizioni tali per cui oggi in Italia si può curare soltanto chi ha i soldi. Questa è la loro democrazia. la democrazia dei ricchi.  Che è l’opposto della ragione storica per cui è stato creato il Servizio Sanitario Nazionale che la costituzione definisce universale per tutti i cittadini. Ma è anche la conseguenza logica di un sistema economico predatorio, che arraffa le risorse pubbliche per trasferirle ai privati facendo perdere potere d’acquisto dei salari e degli stipendi.

 

Forse è per questo che ci accusano di fare politica. Ci rinfacciano di aver proclamato uno sciopero generale che va contro l’economia. Ci chiamano estremisti. Qualcuno ha parlato addirittura di “sovversivi”.

Avete capito? Noi saremmo gli estremisti! Noi?

 

Non quelli che stanno sfasciando questo Paese a colpi di controriforme il cui effetto è quello di dividere la società in due blocchi contrapposti: i ricchi da una parte e i poveri dall’altra! Con i ricchi destinati a diventare sempre più ricchi e i poveri destinati a diventare sempre più poveri.

 

Caro governo, cari ministri, caro Parlamento, cari economisti, cari giornalisti e grandi esperti a voi piace questo modello di anti-società perché fate parte dell’élite. A noi non piace e combattiamo. Vi combattiamo oggi, domani e dopodomani.

Nelle piazze e con la forza delle idee, della ragione e delle persone.

 

Mettetevelo bene in testa: siamo arrivati al limite. Noi non ci stiamo. E non ci stiamo perché non è questo il tipo di futuro che vogliamo lasciare ai nostri figli. Ci dite che con questo sciopero facciamo politica?

Avete ragione. Noi abbiamo il diritto e il dovere di Fare politica sindacale! Facciamo politica dei salari! Facciamo politica di difesa del lavoro e dell’occupazione! Facciamo politica sociale! Facciamo politica per rispettare i diritti di uguaglianza e democrazia sanciti dalla Costituzione! Diritti che da anni vi mettete sotto i piedi.

 

Ora basta! La misura è colma.

 

Ma come pretendono che il sindacato rimanga zitto di fronte a una riforma fiscale che punta a eliminare la progressività delle imposte in base al reddito? Una riforma che porterebbe a pagare chi è già ricco e guadagna 200 mila euro l’anno la stessa aliquota di un lavoratore che ne guadagna 30.000.

 

Pensano di blandirci con la storia del cuneo fiscale. Ma forse non sanno che i documenti li sappiamo leggere da soli. E siamo perfettamente in grado di comprendere che la preannunciata conferma del cuneo fiscale non fa crescere i salari, ma consolida quello che è già in busta paga. Per cui alla fine la busta paga di gennaio sarà uguale, se non addirittura inferiore, a quelle di quest’anno.

 

Per quanto poi riguarda la questione salariale, c’è qualcuno dalle parti di Palazzo Chigi che sia in grado di spiegarci come può reggersi un’economia nella quale in tre anni i salari dei lavoratori dipendenti hanno perso più del 16% del potere d’acquisto?

Questa dovrebbe essere la vera priorità del Paese! Recuperare il potere d’acquisto dei salari. Questo è il problema centrale sul quale dovrebbero concentrarsi tutti: politici, economisti, industriali, giornalisti. Si rinnovano contratti collettivi che nella migliore delle ipotesi recuperano la metà di quanto è stato perduto con l’inflazione. Nel pubblico impiego, poi, nemmeno quello, visto che si arriva a malapena a un terzo! Ecco perché quel contratto CGIL e UIL non l’hanno firmato.

 

Cari amici della CISL, perché questo strappo? Perché lacerare la cosa più importante che abbiamo, l’unità sindacale? Per andare dove, e con chi?

 

Per i lavoratori i problemi sono ben altri, sono quelli di fronteggiare le scelte di una classe politica talmente occupata a ragionare di bombe plananti, controffensive e missili ipersonici, che ha completamente perso di vista la realtà di quello che accade nella stremata società italiana.  E se oggi siamo qui è proprio per riportare in primo piano i problemi veri del mondo del lavoro e della nostra vita quotidiana.

 

Vogliamo parlare di rinnovi contrattuali, di assunzioni dei giovani che fuggono all’estero, della precarietà del lavoro, di riforma fiscale, di sanità vera, di pensioni, di come funziona la scuola, di servizi ai cittadini e di mille problemi che interessano le persone reali di questo Paese. Se oggi siamo qui è perché gli slogan e le promesse e i trucchetti statistici non funzionano più. Non permetteremo che la politica continui a riportare indietro le lancette della storia.

 

La nostra mobilitazione per una società diversa è appena iniziata e non ci fermeremo!

Viva il sindacato!

Viva il lavoro!

Viva le donne e gli uomini che lottano per una società più giusta e per una vera democrazia!