Secondo l’ultimo rapporto Inps, all’interno del comparto pubblico le disuguaglianze di genere, retributive e territoriali, sembrerebbero ridursi. In particolare, è diminuito lo scarto tra gli uomini e le donne nel settore pubblico. Anzi, gli occupati di sesso femminile si attestano poco al di sotto del 60%, esattamente a livello della media OCSE.
Le note dolenti arrivano quando si affrontano le differenze retributive. Dal 2014 al 2021 i redditi annuali dei dipendenti del settore pubblico sono scesi da 33.400 euro nel 2014 a 31.000 euro nel 2021 (-7%).
Se si considerano i salari annuali, gli occupati di sesso maschile tra 30 e 60 anni percepiscono stipendi molto simili, mentre dai 60 in su c’è un aumento retributivo che sfiora in media i 40mila euro annui. Andamento analogo si riscontra anche nell’occupazione femminile ma in questo caso si assiste a un aumento importante dei salari a partire dai 50 anni.
Secondo la modalità di classificazione dell’Inps, per i giovani la retribuzione settimanale nel pubblico impiego parte al primo anno di esperienza lavorativa da un livello molto basso, in media circa 320 euro. In seguito, la sua crescita è meno pronunciata e al settimo anno di esperienza non supera i 500 euro.
Inoltre, gli stipendi del settore pubblico si diversificano anche in rapporto alla zona geografica. L’Istituto nazionale della previdenza, combinando i redditi annuali, settimanali e le settimane di lavoro, ha elaborato dei dati in percentuale che mostrano dove sia più vantaggioso economicamente lavorare nel pubblico. Risulta che in termini relativi al Sud e nelle Isole lavorare nel pubblico impiego è particolarmente conveniente per circa il 23%; mentre al Nord c’è maggiore variabilità, 3%; al Centro 5%.
Infine, per quanto riguarda le donne è interessante notare come lavorare nel pubblico impiego garantisca una maggiore stabilità nei redditi annui in tutto il Paese, con differenze microscopiche tra le diverse aree territoriali.
Redazionale
Roma, 3 ottobre 2023