Da 13 anni andiamo ripetendo che la decurtazione del salario accessorio dei dipendenti pubblici sulle assenze per malattia inferiori a 10 giorni è un assurdo normativo e una vessazione che umilia una sola categoria di lavoratori.
Gli effetti di questa norma, introdotta dall’art. 71 del decreto-legge n. 112/2008, per migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione sono stati praticamente nulli. In qualsiasi realtà lavorativa, pubblica e privata, l’efficienza operativa delle strutture non dipende da misure oppressive, ma dalla buona organizzazione del lavoro e da investimenti nelle risorse umane.
In compenso, da 13 anni continuiamo a sperimentare gli effetti negativi di una norma insensata. L’ultimo, in ordine di tempo, ci viene segnalato dalla risposta che la senatrice Barbara Floridia ha fornito pochi giorni fa in Commissione Istruzione a un’interrogazione presentata della senatrice Laura Granato e altri concernente l’applicazione della decurtazione alle giornate di assenza degli insegnanti dovute agli effetti della vaccinazione anti-Covid. Per completezza di informazione ricordiamo che il decreto Sostegni ha giustamente abolito la decurtazione a carico del personale della scuola relativamente al giorno in cui si effettua la vaccinazione.
La risposta della senatrice Floridia, ovviamente, non poteva che confermare l’applicazione della trattenuta per i giorni successivi alla vaccinazione e l’impossibilità di concedere permessi ad hoc per sfuggire all’ignobile tassa sulla malattia imposta ai dipendenti pubblici. Perciò, in caso di complicanze post-vaccinali per il personale della scuola così come per tutti gli statali gli eventuali giorni di assenza vanno trattati economicamente con le regole dell’art. 71. E per chi non vuole subire il taglio delle indennità accessorie ci sono sempre gli istituti previsti dalla legge e dai contratti collettivi: ferie, permessi, ecc. Chiaro e semplice. Dura lex, sed lex.
Non è nostra abitudine speculare sulle emergenze per portare acqua al mulino delle rivendicazioni che ci stanno a cuore. Meno che mai intendiamo giocare sul dramma del Covid e sulla assoluta necessità di portare avanti il Piano delle vaccinazioni per attaccare una norma inutile e ingiusta come l’art. 71. Però ci sembra doverosa una riflessione.
Per alcune categorie di dipendenti pubblici le vaccinazioni sono stare rese di fatto obbligatorie in ragione della particolare rilevanza sociale della loro attività. Ma molti altri lavoratori pubblici in questo lungo periodo di emergenza si stanno sottoponendo alle vaccinazioni seguendo i piani predisposti dai rispettivi sistemi sanitari regionali. D’altronde, vaccinarsi è considerato non un obbligo, ma un segno di responsabilità sociale e un prezioso contributo all’auspicato ritorno alla normalità, dal momento che i dipendenti vaccinati saranno meno soggetti al rischio di ammalarsi di Covid rispetto agli altri.
E allora, per quale motivo l’assenza dal servizio per sottoporsi alla vaccinazione e le eventuali assenze dal lavoro dovute a possibili (e, entro certi limiti, prevedibili) effetti post-vaccinali devono essere considerate alla stregua di una spregevole forma di assenteismo da furbetti?
Se non abbiamo capito male, ci si vaccina proprio per non ammalarsi e per poter lavorare con maggiore sicurezza. Oltre che per il dovere civico di gravare il meno possibile sulle strutture sanitarie già sotto pressione.
Non dovremmo forse incominciare a chiederci se una norma varata nel 2008 manifesti qualche grave incongruenza nel 2021, cioè in un contesto lontanissimo da quello di 13 anni fa?
È normale applicare un principio di deterrenza dell’assenteismo ingiustificato nel settore pubblico anche a forme di assenza collegate ad un obiettivo di alto valore sociale, come quello di ridurre il rischio di contrarre e diffondere una malattia a carattere pandemico?
Queste non sono domande retoriche. Sono macigni che pesano sulla soddisfazione dei lavoratori per l’attività che svolgono, sul senso di appartenenza all’amministrazione, su una visione tanto antiquata quanto punitiva della gestione del personale. Quel personale che da un anno a questa parte sta tenendo in piedi il Paese.
Rivogliamo queste domande al governo che si appresta a varare grandiosi progetti di innovazione, semplificazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione. Non è nemmeno necessario tirare in ballo la Costituzione. Basta solo un po’ di volontà politica e un po’ buon senso legislativo. Mai come in questo caso, a costo zero per la collettività.
Sandro Colombi, Segretario generale Uilpa
Roma, 28 aprile 2021
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