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FOTO e REPORT | “All’origine della coscienza di classe” di Nicola Savino

Presentato alla Camera dei deputati:All’origine della coscienza di classe” di Nicola Savino

 

I fermenti socio-culturali, politici e industriali del quarto di secolo dal 1989 al 1914, saranno determinanti per la formazione della coscienza identitaria di appartenenza, che sfoceranno nella coscienza di classe dei lavoratori e delle plebi e nelle prime spontanee ribellioni.

 

Questi gli argomenti del libro postumo di Nicola Savino, presentato alla Camera dei deputati (https://webtv.camera.it/evento/26784) con: Andrea Covotta, responsabile di Rai Quirinale, già inviato e vicedirettore del Tg2 e del Giornale Radio Rai, scrittore; Toni Ricciardi, deputato, vicepresidente del Gruppo Pd, professore associato di Storia delle migrazioni e delle catastrofi; Pino Ammendola, attore, regista, sceneggiatore, doppiatore e scrittore; Floriana Mastandrea, sociologa, giornalista e scrittrice ed Eleonora Savino, psicologa, psicoterapeuta, docente presso l’Istituto (post universitario) Gestalt Therapy Kairòs.

 

Andrea Covotta: lo scenario descritto da Savino ha una ricaduta di grande attualità                                              “Nicola Savino ha fatto molta attività politica e questo posto (ndr, Camera) gli sarebbe stato caro. Nonostante le differenti storie politiche, negli ultimi anni della sua vita, tra noi si era creata una grande simbiosi e io ne avevo forte stima intellettuale. Poiché siamo ancora nel periodo che ci lega al terremoto dell’80, voglio ricordare che gli curai la prefazione del testo dedicato al terremoto del 23 novembre (ndr,23 Novembre 1980 – Il dramma, l’incanto, il disincanto) e all’analisi sullo spopolamento delle aree interne dell’Appennino campano, che fu anche occasione di riflessione sulle possibilità di riscatto. Il quarto di secolo che inquadra Savino nel suo lavoro sulla formazione della coscienza di classe, è un periodo di significativi cambiamenti sia per l’Italia che per l’intera Europa. L’Italia si era da poco composta (1861) in maniera disarticolata: cominciavano ad emergere prepotentemente le differenze tra Nord e Sud e a tutt’oggi, le disuguaglianze tra le due aree, non sono state del tutto superate, la Questione meridionale è ancora un problema nazionale. Anche per questo il saggio di Savino ha una forte ricaduta nella situazione attuale.

 

Mentre nascevano i Fasci siciliani del lavoro, pagina della nostra storia ancora poco approfondita, presidente del Consiglio era Francesco Crispi, anch’egli siciliano, prima garibaldino, poi mazziniano e in seguito convertitosi alla monarchia e ai Savoia, che represse duramente le ribellioni sociali. Crispi fu fautore dell’espansione coloniale e dei rapporti con Austria (già nostra avversaria nelle guerre di indipendenza) e Germania. Iniziavano ad emergere in quel periodo, alcune industrie del Mezzogiorno, tra cui quella della famiglia Florio in Sicilia. I Florio erano proprietari di grandi flotte navali, commerciavano il tonno (si erano inventati anche l’asilo nido nella tonnara) e il marsala, possedevano un’industria chimica, avevano compartecipato alla costruzione del Teatro Massimo di Palermo e persino acquistato le isole Egadi. Protagonisti anche della Belle époque, autori della targa Florio, avevano rapporti con grandi musicisti, come Puccini. L’espansione economica dei Florio coincise con la politica di Crispi.

 

Guardare al Sud come arretrato, dunque, è sbagliato: c’era anche un’imprenditoria illuminata che in realtà avrebbe potuto dare un maggior contributo al suo sviluppo. Al Nord intanto, prendeva piede il cosiddetto triangolo industriale Genova-Torino-Milano. Torino in particolare, dava grande impulso alla crescita del Paese con la fabbrica della FIAT ed era anche fucina di grandi intellettuali di sinistra: Gramsci, Togliatti, Terracini o liberali, come Piero Gobetti, che sarà ucciso a soli 25 anni dai fascisti. Gobetti, autore della rivoluzione liberale, aveva polemizzato col gruppo di Ordine nuovo guidato da Gramsci e Togliatti e, seppur molto giovane, aveva fatto pubblicare le opere di Luigi Einaudi e la prima edizione di Ossi di seppia di Montale. Umberto Terracini invece, sarebbe diventato presidente dell’Assemblea costituente, nonché uno degli autori della nostra Costituzione.

 

Altrettanto vivace in quel periodo era la Romagna, citata a proposito dei fatti della Settimana rossa (cominciano ad Ancona dopo l’eccidio di 3 manifestanti e si estendono, tra il 7 e il 14 giugno 1914, a Marche, Romagna, Umbria e Toscana). Tra i protagonisti della Settimana rossa, il direttore della Voce repubblicana, Pietro Nenni (che diventerà poi socialista), nel periodo in cui Mussolini dirige L’Avanti! Sarà la Prima Guerra mondiale a dividere il mondo della sinistra, con la scissione del Congresso di Livorno del 1921 (ndr, scontro tra corrente riformista e rivoluzionaria). A causa del conflitto mondiale, Mussolini lascerà sia la direzione del giornale che il Partito socialista, fonderà Il Giornale d’Italia e, richiamando i Fasci siciliani, darà vita al Partito fascista (ndr, Fasci italiani di combattimento), nel 1919, allorquando nascerà anche il Partito Popolare. Gli avvenimenti che ricostruisce Savino, attingendo a una ricca bibliografia, sono determinanti per quello che accadrà in seguito e il libro si collega per molti aspetti, anche alla nostra attualità.

 

Toni Ricciardi: siamo stati migranti, ma si fatica a ricordare ciò che eravamo

Il tema della migrazione spesso viene non contestualizzato, mentre va collegato ai processi sociali ed economici, a loro volta inscindibili dalle questioni geopolitiche e strategiche. Nell’ambito delle grandi rivoluzioni industriali, delle leghe dei lavoratori, della nascita identitaria di classe, cambiano i processi umani, ed in tutto ciò, l’emigrazione viene trascurata, quasi come se non fosse esistita. Nel mio vero mestiere, di Storico delle migrazioni, con i miei colleghi, sto cercando faticosamente di ribaltare la gerarchia delle priorità della storia europea mettendo al primo posto la lettura della migrazione di ieri e di oggi. Nel libro di Savino il tema della migrazione emerge con costanza. Negli ultimi tre secoli, i Paesi a maggior migrazione sono stati il Regno Unito, la Germania, e quella che oggi viene descritta come la ricca Svizzera. L’emigrazione ha riguardato ogni civiltà, ogni democrazia e ogni fase della storia dell’umanità.

 

Come sempre, però, si fa fatica a ricordare quello che eravamo. Se pensiamo all’attuale dibattito pubblico, sembra che parti di questo Paese, non abbiano mai conosciuto un giorno di emigrazione, eppure le grandi ondate migratorie in giro per il mondo, sono partite dal Settentrione. Le grandi regioni di emigrazione, almeno nei primi 25 anni post unitari, furono il Veneto, fino agli anni Settanta del XX secolo, la Lombardia, la Liguria, il Friuli, il Piemonte (che poi, con casa Savoia unì l’Italia). Si ha la sensazione che siano state dimenticate perché l’Italia, oltre a essere un Paese giovane, abbracciò la visione imperialistica che precedette il fascismo, figlia della conferenza di Berlino (1884) voluta da Bismarck, che stabiliva la divisione del Continente africano tra le potenze europee, per spartirsene il mercato. Si era nella fase della seconda rivoluzione industriale, in una lenta ma progressiva meccanizzazione, prodromo all’industrializzazione, che avrebbe condotto al trasferimento di braccia dall’agricoltura, non più conveniente e troppo faticosa, all’industria.

 

A ciò si aggiunse l’urbanizzazione: in questi processi si innestò anche l’emigrazione. Fino alla rivoluzione francese, l’immigrazione era vista come una risorsa, l’emigrazione come una piaga. L’imperialismo europeo, la Belle époque, le democrazie liberali, Bismarck, la considerarono una valvola di sfogo. Ebbe la meglio la teoria economica malthusiana (più aumentava la popolazione, più diminuivano le risorse disponibili) che Nitti aveva cercato di avversare. Nel 1888 Nitti ne: L’emigrazione italiana e i suoi avversari, difese il diritto ad emigrare, opponendosi al disegno di legge (ndr, del 15 dicembre 1888) per bloccare l’emigrazione, come una violazione della libertà individuale da parte di coloro (potente aristocrazia agraria) che temevano di perdere forza lavoro a basso costo da sfruttare, soprattutto nelle aree interne meridionali. In Italia, tra gli ultimi Paesi a disciplinare il fenomeno migratorio, il 31 gennaio 1901, fu promulgata la prima legge istitutiva per la “Tutela giuridica degli emigrati”, per agevolare le “modalità d’espatrio”, con la creazione del “Commissario Generale per l’Emigrazione”. La legge, all’articolo 6 prevedeva (in sintesi): “é emigrante colui che si reca al di là dello Stretto di Gibilterra o del Canale di Suez e che viaggia in terza classe”.

 

Questo, nonostante l’emigrazione più che verso gli Stati Uniti, si indirizzasse prevalentemente verso i Paesi europei, come ampiamente dimostrano le statistiche. Quel cliché verrà abbattuto solo nel 1919, quando sarà introdotto per la prima volta che: “è emigrante colui che si reca all’estero per lavoro”. Nel frattempo, presso la stazione di Milano era nato il Centro di smistamento che, nel secondo dopoguerra, diverrà il grande Centro per l’emigrazione (Coi, Centro orientamento emigranti). L’emigrazione sia in quella fase che nelle successive, diverrà una costante e una grande leva economica per il nostro Paese.    La storia ci ha dimostrato che ad alcuni popoli è stata impedita l’emigrazione, com’è accaduto alla Germania del secondo dopoguerra: per gli Alleati, i tedeschi dovevano rimanere in patria per ricostruirla. Quando lo scenario comincia a modificarsi e le democrazie liberali vanno in crisi, è il momento storico in cui le migrazioni assumono un ruolo degno di attenzione.

 

Facendo un salto temporale ad oggi, le democrazie di stampo liberale vengono messe in difficoltà da narrazioni semplificate nazionaliste e populiste: qualcuno immagina, in un mondo sempre più interconnesso, che ognuno possa salvarsi a casa propria. È l’esatto contrario di ciò che sostiene Savino, quando rievoca la nascita della coscienza di classe, che è tale nella misura in cui richiama uno dei dettati fondamentali: proletari di tutto il mondo unitevi. Le frontiere, gli steccati nazionali non esistono, perché esiste la coscienza di classe.

 

Pino Ammendola ha brillantemente letto alcuni brani del libro, dallo scenario introduttivo, ai Fasci siciliani, alla Camera del lavoro, al Partito dei Lavoratori Italiani, agli eccidi di Baganzola, Comiso e Roccagorga, fino al Mussolini prima maniera, che dalle pagine de L’Avanti, condannava senza riserva gli “eccidi proletari” consumati sulla pelle di indifesi cittadini, annunciando: “Il nostro è un grido di guerra. Chi massacra sappia che può essere massacrato”. Iniziò così una lunga ed aspra campagna mediatica condotta dall’“Avanti!” contro il Governo e, per quell’articolo, subì una denuncia, fu processato per vilipendio a mezzo stampa e assolto dal tribunale. L’indignazione suscitata per la vasta risonanza che ebbero gli “eccidi” sugli organi di stampa, nei partiti politici e nei movimenti culturali, costrinse il Governo a rispondere alla Camera su quegli avvenimenti, ma le risposte furono elusive.

 

Floriana Mastandrea, che ha coordinato l’evento, si è soffermata in particolare sugli scioperi femminili di Milano, le piscinine e la legge sul lavoro femminile.                                                                                                                                                        “A gennaio del 1902 la Federazione dei ferrovieri, minacciando lo sciopero, rivendicò e ottenne aumenti salariali e una più umana qualità del lavoro. A Milano, anche gli operai della Pirelli ottennero gli aumenti salariali richiesti e una più dignitosa organizzazione del lavoro. Fece scalpore, invece, la protesta delle apprendiste sarte, cravattaie e stiratrici, con lo sciopero delle “piscinine”, bambine e adolescenti, tra i 9 e i 14 anni, che lavoravano 11-12 ore al giorno, sottopagate e per di più, sottoposte ad abusi e violenze nelle strade e nelle fabbriche. Stessi diritti delle piscinine rivendicavano le operaie del settore cotoniero, finché l’indignazione popolare per lo sfruttamento della manodopera femminile, non si allargò all’intero stivale, tanto che la Camera approvò la legge sulla protezione del lavoro minorile e femminile. La norma elevava a 12 anni l’impiego minorile e fissava il massimo di una giornata lavorativa femminile nelle fabbriche, in 12 ore. Il 29 giugno 1902 fu istituito a Roma, presso il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, un organo collegiale e consultivo, per regolamentare doveri e diritti del lavoro e del capitale”.

 

Eleonora Savino, che ha curato la pubblicazione postuma del libro di suo padre, insieme al marito, ing. Vito Bretti, allo zio, sen. Angelo Flammia, a Delfina Iuspa e alla casa editrice Robin, ha descritto la figura di Nicola Savino, nato ad Ariano Irpino il 15 ottobre 1953 e prematuramente mancato ad Avellino l’11 novembre 2021. “Funzionario della Regione Campania, è stato un uomo straordinario che ha contribuito a vivacizzare l’atmosfera culturale di Ariano. Impegnato in politica, prima nella socialdemocrazia, poi nel Partito democratico, come sociologo e studioso, dal 1975 al 2021 ha pubblicato oltre 22 libri, occupandosi di sociale (Sopravvissuti), storia (La battaglia di Poitiers) religione (Nacque al mondo un sole) pubblicando anche una parte della Bibbia francescana; emigrazione e immigrazione (Quattro racconti dall’Africa), nonché del proprio territorio (Ariano che se ne va). Insieme all’amico fraterno Luigi Lambiase, aveva istituito un’associazione culturale, Book zone, per promuovere la scrittura e i libri, che adesso contribuisco anch’io a portare avanti”. Tra le sillogi poetiche di cui Nicola Savino è stato autore: Stiamo partendo per altro tempo, da cui Eleonora ha letto, Vivere la speranza.

 

A completare il quadro storico del saggio, un’appendice con gli eventi della campagna d’Africa, fino allo scoppio della Prima Guerra mondiale. Un libro indispensabile per chi non conosce la Storia o per chi volesse approfondirla e soprattutto, per comprendere come faticosamente siano stati conquistati i diritti e come oggi sia necessario tenere alta la guardia per non perderli.

 

Informazioni:        

Autore: NICOLA SAVINO

Titolo: All’origine della coscienza di classe – Un quarto di secolo di lotte operaie e contadine (1889- 1914)                                               Ed. i Robin & sons

Pagg: 161 pp.

Prezzo: 14 €

 

Floriana Mastandrea