Se si fa uno sforzo di memoria, l’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi, aveva dichiarato che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza era il piano di tutto il Paese. Però aveva nell’imprenditore privato il protagonista della crescita economica dell’Italia escludendo così tutti quelli che imprenditori non sono: cioè la stragrande maggioranza degli italiani.
Comunque sia, con l’entrata nel vivo del PNRR da qualche tempo si è tornati a parlare del tema delle privatizzazioni in riferimento a quel poco del nostro sistema economico-produttivo che è rimasto in mano pubblica. Tanto che il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, recentemente ha rilasciato delle dichiarazioni riguardo il passaggio della banca Monte Dei Paschi Di Siena ai privati. Siamo alla vigilia di una nuova tornata di privatizzazioni?
Naturalmente il Sole 24 Ore, con l’obiettività che lo contraddistingue, mette le mani avanti e sostiene che non si tratta di una stagione simile a quella di trent’anni fa. Allora l’artefice fu il Presidente dell’Iri e futuro Presidente del Consiglio, Romano Prodi, e tanti addetti ai lavori considerarono quegli anni come la vera svolta dell’economia italiana, una cura dimagrante (dalla Stet ad Autostrade, dalla Sme alla Finsider) che consentì alle casse statali di rimettersi un po’ in sesto.
Tuttavia, oggi possiamo dire che fare cassa in quel modo è stato un danno all’economia e al Paese. Grazie alle privatizzazioni oggi l’Italia si trova in una condizione economica peggiore di trent’anni fa. Secondo la Corte dei conti, tra il 1993 e il 2010 si sono realizzate in Italia 93 privatizzazioni (114, se si esamina anche la fase tra il 1980 e il 1991), per 119 miliardi di euro di introiti (152, contando il periodo 1980-1991), cui va aggiunto una riduzione del debito pubblico per 38 miliardi di euro. Peccato che a quei tempi il debito ammontasse a 1.500 miliardi di euro e oggi sia quasi raddoppiato con i suoi 2.843 miliardi.
Dunque, se da un lato le privatizzazioni portano un rientro economico immediato, è evidente come sul lungo periodo non siano efficaci. Si tratta peraltro di una verità nota da tempo. Nel 2009 il progetto PIQUE (“Privatisation of public services and the impact on quality, employment and productivity”), finanziato dall’UE, mise sotto esame la privatizzazione di elettricità, poste, trasporti e sanità in vari paesi europei.
I risultati rivelarono che il trasferimento in mani private delle imprese pubbliche aveva generato effetti modesti sulla competitività, e che senza regolamentazione e mercati competitivi le compagnie, fissando qualsiasi prezzo e standard di servizio a loro discrezione, creavano monopoli e oligopoli. Inoltre, dopo la privatizzazione risultava che i costi di produzione venivano ridotti a scapito dei lavoratori dipendenti, le cui condizioni lavorative peggiorano. Anche i rapporti di lavoro erano colpiti, con notevoli conseguenze negative sull’occupazione e le condizioni lavorative. È stato anche dimostrato che mosse di questo tipo portano a una riduzione anziché alla creazione dell’occupazione, favorendo inoltre il lavoro part-time rispetto a quello full-time.
Non c’è bisogno di citare studi più recenti. Dal 2009 ad oggi il trend è rimasto lo stesso. Si è continuato a privatizzare e a esternalizzare i servizi pubblici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: costi maggiorati, servizi più scadenti, utenti insoddisfatti e… pochi imprenditori più ricchi. Nonostante le politiche economiche fondate sul ridimensionamento della presenza dello Stato nelle attività produttive di interesse pubblico facciano acqua da tutte le parti l’attuale governo persevera diabolicamente nell’errore.
Roma, 12 settembre 2023