Sul piano degli organici qual è la situazione degli uffici pubblici nella sua regione?
Drammatica, nonostante da anni il sindacato denunci la mancanza di personale negli uffici pubblici. Specialmente Colombi ha insistito molto per sensibilizzare la politica su questo tema ma senza ottenere risposte. La sordità alle richieste sindacali ha impedito un ricambio generazionale sufficiente a coprire i pensionamenti. Per esempio, negli uffici della Giustizia a Piacenza manca più del 50% del personale e per risolvere questa criticità si utilizzano le Forze dell’ordine in pensione per un 15-20% dell’organico complessivo. Il che è assurdo, se pensiamo a tanti giovani senza lavoro. Nei tribunali le nuove assunzioni legate al PNRR hanno portato un po’ di sollievo, ma parliamo comunque di personale a tempo determinato. Quanti ne rimarranno alla scadenza del contratto?
Come spiega la tendenza a privatizzare ed esternalizzare i servizi pubblici?
Spesso le amministrazioni giustificano la scelta di rivolgersi ai provati perché la mancanza di personale non consente di svolgere i servizi in modo efficace. Ma la carenza è frutto della mancanza di programmazione. Dal punto di vista occupazionale in Emilia-Romagna le esternalizzazioni stanno creando numerosi problemi. Ad esempio, la Difesa possedeva un arsenale a Piacenza che era arrivato ad impiegare 900 dipendenti con elevati livelli di competenza tecnica. Oggi è stato ridimensionato a 280 e molte competenze sono state trasferite a ditte private esterne per eseguire gli stessi lavori che prima erano svolti dai dipendenti pubblici. Tentativi analoghi sono stati fatti in altri enti, come nella Motorizzazione, dove, grazie al sindacato, è stato sventato il tentativo di esternalizzare gli esami per le patenti di guida. Alla Giustizia la consegna degli atti, prima svolta da personale interno, viene appaltata all’esterno.
In quali condizioni logistico-strutturali versano gli uffici delle amministrazioni centrali nella sua regione?
A parte qualche raro caso nella nostra regione gli uffici sono vetusti e inefficienti. In parte ciò è dovuto all’applicazione della Legge Monti sul recupero degli edifici storici sui quali, però, non è possibile intervenire con le modifiche strutturali necessarie a renderli sicuri e moderni. Quindi, se per un verso si risparmia, per altro verso si è costretti a utilizzare strutture fatiscenti. Un esempio è dato dall’impossibilità di porre una scala di sicurezza all’esterno di un Palazzo di Giustizia della nostra regione, situato in un ex carcere, dove c’è il veto delle Belle Arti. E poi spesso questi edifici sono situati nei centri storici delle città, dove è difficile accedere a causa delle limitazioni al traffico. La verità è che a volte costerebbe meno costruire edifici nuovi anziché risistemare palazzi storici per renderli idonei alle attività da svolgere.
Qual è lo stato delle infrastrutture tecnologiche degli uffici della P.A. centrale presenti nella sua regione?
Malgrado le cospicue risorse annunciate nel PNRR l’ammodernamento tecnologico delle nostre strutture fatica a decollare. Abbiamo sistemi e apparecchi non funzionanti, ma anche difficoltà a risolvere i problemi in tempi rapidi. Per quanto riguarda la digitalizzazione, INPS e INAIL sono decisamente più avanti, mentre in altre amministrazioni si continua a usare prevalentemente la carta. Tra l’altro, proprio questa arretratezza dei sistemi di lavoro rende difficile in molte realtà l’attivazione dello smart-working, che in certi enti addirittura non è mai partito. Il miglioramento tecnologico diffuso in tutta la P.A., di cui si parlava nel PNRR, in Emilia-Romagna non si è ancora visto.
Negli enti della sua regione dove si applica il CCNL Funzioni Centrali il sistema delle relazioni sindacali funziona in maniera soddisfacente?
Dopo il contratto 2019-2021 siamo riusciti almeno in parte a potenziare alcune forme di tutela, ma ci sono amministrazioni che vorrebbero esercitare un controllo totale del rapporto di lavoro. Le norme sulla performance individuale concedono ai dirigenti un forte potere discrezionale. Perciò il personale tende a non entrare in contrasto coi superiori anche perché le valutazioni sulla performance non sono oggettive e a volte viene premiato chi è più presente in ufficio rispetto a chi è più produttivo. Un dipendente che non ottiene ogni anno un punteggio alto rischia di veder pregiudicate le proprie future progressioni economiche e questo finisce per condizionare l’atteggiamento dei dipendenti verso i loro dirigenti. Tutto questo aumenta le difficoltà sindacali, perché, ad esempio, in caso di ricorsi contro le valutazioni dei dirigenti ci interfacciamo con strutture come l’OIV che, di fatto, sono sempre espressione della parte amministrativa. Insomma abbiamo a che fare con un sistema che andrebbe rimodulato.
Una serie di provvedimenti normativi esclude il sindacato dal trattare materie decisive come l’organizzazione del personale. Su questo tema cosa pensa che si dovrebbe fare?
Per prima cosa penso che sia assurdo escludere le rappresentanze sindacali dall’organizzazione del lavoro. Una delle conseguenze di tale esclusione è vedere persone svolgere compiti per i quali non sono adatti. Il nostro sforzo è e deve continuare ad essere quello di far comprendere alle amministrazioni l’utilità del confronto continuo con i rappresentanti dei lavoratori. Questo perché il sindacato non può essere coinvolto solo quando c’è qualche problema da risolvere, ma anche nell’organizzazione dei processi produttivi. Al momento questo non accade. Ma noi continueremo la nostra opera di persuasione nei confronti della politica e delle amministrazioni. E se non dovesse bastare, siamo pronti a ricorrere a forme di mobilitazione e di lotta più dure.
Roma, 28 agosto 2023
A cura dell’Ufficio comunicazione UIL Pubblica Amministrazione