di Marco Marucci
La povertà lavorativa ha assunto un’importanza crescente negli ultimi venti anni, coinvolgendo un numero sempre maggiore di lavoratori e intensificandosi a causa dell’aumento dei prezzi al consumo, che ha colpito in particolare i paesi dell’Ocse e l’Unione europea. Nonostante una riduzione generale del livello di disoccupazione, la “nuova” occupazione è sempre più caratterizzata da precarietà e insicurezza.
L’Ue, per identificare la “povertà lavoritava” ha introdotto nel 2005 l’indicatore In-work at-risk-of-poverty rate, che calcola la percentuale di lavoratori occupati per almeno sette mesi all’anno in famiglie il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà, fissata al 60% del reddito disponibile medio. Tuttavia, questa misura può sottostimare il fenomeno, escludendo i lavoratori con contratti saltuari e precari. Inoltre, l’uso del nucleo familiare come unità di misura per la soglia reddituale può nascondere altre criticità sociali, come la discriminazione di genere e gli squilibri generazionali…
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