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Colombi. Smart working: ascoltare il punto di vista dei lavoratori

In questi ultimi due anni l’espressione Smart working è diventata estremamente popolare. Nel primo anno di pandemia perché dalla sera alla mattina milioni di lavoratori pubblici si ritrovarono a operare da remoto. E come sappiamo fu un bene perché l’economia riuscì a reggere l’impatto della crisi sanitaria pur subendo pesanti scossoni. Col secondo anno di pandemia e l’avvento della campagna di vaccinazione lo Smart working è diventato oggetto di un dibattito pubblico tra tanti detrattori e pochi fautori. Come al solito tra i detrattori troviamo molti giornalisti assai disinformati ma ben specializzati nel denigrare il pubblico impiego. Naturalmente non erano soli. In maniera coordinata interveniva il governo e in particolare il ministero della Funzione Pubblica decidendo di passare dalla politica del tutti a casa a quella del tutti in ufficio. Anche in questa seconda fase sono nate discussioni e comunque alla fine il quadro si è ricomposto grazie al nuovo CCNL, tramite il quale lo Smart working ha trovato una sua soddisfacente cornice normativa.

L’epilogo del dibattito sullo Smart working ha avuto dunque un esito positivo. Tuttavia non si può dire che il suo cammino sia concluso. Al contrario, probabilmente è appena iniziato perché lo Smart working chiama più che mai in causa il rapporto tra lo sviluppo tecnologico accelerato a cui stiamo assistendo e il lavoro mentale di milioni di individui. Si tratta di una relazione particolarmente indagata negli ultimi due anni e non sono certo mancati studi, ricerche e inchieste. Non pretendiamo di aver letto tutto sull’argomento, ma, per quanto ci è stato possibile constatare, l’interpretazione in tempo reale del fenomeno Smart working concentra correttamente l’analisi sull’attualità, ma corre il rischio di perdere di vista lo sviluppo nel tempo di tale fenomeno.

Proprio per non dover affrontare domani problemi che possono essere previsti oggi ci poniamo con questa nostra riflessione in una posizione del tutto interlocutoria. Non abbiamo cioè la pretesa di annunciare alcuna verità, ma di porre delle domande nella convinzione che domande ben poste possono anticipare e aiutare a trovare soluzioni laddove lo sviluppo impetuoso della tecnologia apre il campo a problemi che riguardano la vita reale dei lavoratori: l’organizzazione della produzione; la qualità del lavoro; il reddito; la relazione tra tempo di vita e tempo di lavoro e così via.

Poiché non crediamo affatto nella neutralità della scienza, e ancor meno nell’oggettività della tecnologia, le nostre domande sul lavoro agile muovono da un punto di vista molto preciso: quello del lavoratore. D’altra parte ogni cambiamento tecnologico di rilievo si ripercuote sull’intero percorso lavorativo, sul ménage familiare e persino sul modo di vedere la vita. E tutto questo non riguarda che marginalmente le classi dominanti siano esse l’alta burocrazia, il corpo politico, la grande impresa. Riguardano soprattutto i lavoratori. Ossia coloro che vivono del proprio stipendio, che risparmiano per assicurare gli studi ai figli, che pagano il mutuo della casa. In altre parole: l’impatto della tecnologia investe principalmente il lavoratore medio. È questo tipo di lavoratore che paga il prezzo degli effetti negativi delle trasformazioni tecnologiche sull’attività produttiva. Niente di nuovo sotto il sole: dalla rivoluzione industriale a oggi è sempre stato così. È arrivato il momento di cambiare strada se davvero si vuole agganciare il progresso tecnologico a quello sociale. Passiamo ora alle nostre domande.

  • Ogni mutamento tecnologico di vasta portata comporta un nuovo e diverso atteggiamento del lavoratore verso il proprio lavoro, la dirigenza, i colleghi, i propri rappresentanti sindacali. C’è chi sostiene che lo Smart working isola e chi invece sostiene il contrario. Come stanno davvero le cose?
  • Lo Smart working permette al lavoratore di risparmiare su alcune voci, per es. i trasporti; mentre ne incrementa altre, per es. le spese per le utenze domestiche o l’adattamento alle nuove esigenze degli spazi abitativi, specie quelli condivisi. In proposito non sarebbe il caso di fare un serio bilancio?
  • Lo Smart working esaspera il processo di proceduralizzazione dell’attività di lavoro. Fenomeno che tende ad appiattire in senso routinario l’attività svolta, non favorisce la crescita e lo sviluppo delle professionalità individuali e, in definitiva, rende i dipendenti facilmente intercambiabili, cosa di cui essi hanno piena coscienza. In che modo questa percezione incide sul proprio ruolo professionale, sul rapporto con i propri colleghi e sulla produttività?  
  • Nonostante le attuali scelte politiche è prevedibile (anche se non certo) che lo Smart working crescerà sensibilmente. Il che comporterà una rottura del tradizionale sistema di valutazione delle performance, anche in funzione delle progressioni di carriera. I criteri di valutazione della produttività andranno per forza adattati, o meglio trasformati in relazione a un nuovo modello di organizzazione dei processi produttivi. Come ci si sta attrezzando in virtù di questo scenario?
  • In barba al diritto alla disconnessione sappiamo che il lavoro per obiettivi, tipico dello Smart working, può in diversi casi dilatare la giornata lavorativa anziché ridurla. Prima che il disagio si trasformi in protesta come si intende affrontare il problema della necessità che nella gestione delle attività da remoto venga assicurato il rispetto delle norme contrattuali?
  • Il mezzo elettronico permette un sistema di controllo a distanza pressoché totale. A tutela del lavoratore esistono il diritto alla privacy e altre norme. Ma i lavoratori non possono controllare il controllore. Il quale può evadere le norme che esso stesso si è dato come è accaduto in passato per altre situazioni. Come riequilibrare il rapporto tra controllato e controllore?

Abbiamo fin qui elencato una serie di domande aperte, domande cioè che attendono una risposta. Il loro scopo è quello di stimolare una riflessione all’interno della Uilpa, più in generale all’interno del sindacato e della politica. In tal senso crediamo che dal Ministero della Funzione Pubblica debba giungere un gesto di reale cambiamento di rotta. Il datore di lavoro pubblico è dinanzi a un bivio: continuare con le vecchie politiche di esclusione dei lavoratori dai processi decisionali che li riguardano o avviare un percorso partecipativo iniziando proprio dall’organizzazione del lavoro oggi maggiormente innovativa: lo Smart working. Il primo passo è quello di comprendere il punto di vista dei lavoratori attraverso un monitoraggio congiunto su qual è davvero l’impatto dello Smart working nella vita del dipendente pubblico.

Sandro Colombi, Segretario Generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 28 febbraio 2022

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