Di seguito, l’intervista di “Il diario del lavoro” a Sandro Colombi.
“Una grande riforma della pubblica amministrazione che metta al tavolo tutti gli attori coinvolti”. È questo l’appello di Sandro Colombi, segretario generale della Uilpa. “Il pubblico impiego non è di destra o di sinistra ma è di tutti. È un bene del paese”. Gli 8 miliardi sbandierati dal ministro Zangrillo come uno dei più grandi investimenti mai fatti sulla PA, afferma Colombi, non vanno minimamente a recuperare il potere di acquisto e, inoltre, devono coprire tutti i comparti. E sul bagno di realtà invocato dal titolare delle Funzione pubblica riguardo alla limitatezza delle risorse disponibili, il numero uno della Uilpa ricorda come il sindacato abbia presentato delle proposte per recuperare soldi aggiuntivi, ma da parte del ministero non c’è mai stata l’apertura per un confronto. Il sindacato, sostiene Colombi, non è disposto ad accettare un contratto al ribasso.
Segretario che clima si respira nei tavoli per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego?
Avevamo sperato che ci fosse un chiarimento definitivo sul ruolo della pubblica amministrazione e sul ruolo dei dipendenti pubblici. Questa grande macchina produttiva aveva gestito una fase non facile come quella del covid, e l’immagine che ne era uscita era diversa da quella dei furbetti del cartellino, ma i lavoratori del pubblico impiego venivano presentati come il volto della Repubblica. Il Patto per l’innovazione, sottoscritto dal governo Draghi e dai sindacati, doveva completare questo percorso di riabilitazione attraverso il rinnovo del contratto. Il ministro Brunetta aveva trovato anche le risorse per attuare anche il nuovo ordinamento professionale.
Questi presupposti hanno avuto seguito?
No. Ma è ormai chiaro che investire nella pubblica amministrazione è un’azione non più rinviabile. Lo abbiamo visto chiaramente durante la pandemia quando mancavano i posti letto, e giustamente nel rinnovare i contratti si è partiti proprio dalla sanità e non dalle funzioni centrali, come si è sempre fatto. Così come era chiaro che c’era un problema di natura economica, con l’erosione del potere di acquisto da parte di un’inflazione a due cifre certificata dall’Istat, e che da lì si dovesse partire per i rinnovi.
La risposta che il ministro Zangrillo potrebbe darle è che va bene tutto ma bisogna fare i conti con la realtà e la limitata disponibilità di risorse.
Rispondo che c’è, prima di tutto, un tema di volontà politica. Inoltre non c’è stata neanche la disponibilità ad aprire un confronto su come reperire nuove risorse, ma si è caduti nella propaganda, sbandierando il fatto che gli 8 miliardi messi per i rinnovi fossero il più grande investimento mai fatto per il pubblico. Non dimentichiamoci che in questi 8 miliardi devono starci tutti i rinnovi. Due miliardi sono destinati a un comparto delicato e centrale come la difesa e la sicurezza. E per ammissione dello stesso ministro il rinnovo vedrà un aumento economico del 5,7% quando l’inflazione è al 14%. Anche l’ingresso di 173mila nuovi addetti è, e lo abbiamo detto più volte, il turn over fisiologico di 3,5 milioni di lavoratori.
Il pubblico è un po’ il fanalino di coda se si guardano gli aumenti degli altri rinnovi.
Lo è, ed è per questo che auspicavamo un cambio di passo. Senza una pubblica amministrazione efficiente lo stato non dà risposte ai cittadini e alle imprese.
Lei ha lamentato la mancanza di disponibilità da parte del ministro nell’avviare un percorso condiviso per trovare denari aggiuntivi. Le chiedo: dove scovarli, visto che le casse pubbliche non godono certo di ottima salute?
Mettiamo da parte la lotta all’evasione fiscale, che sembra essere una sorta di animale mitologico, e sulla quale il governo Meloni non ha di certo speso parole apprezzabili. Si potrebbe partire da una tassazione degli extra profitti delle multinazionali o delle transazioni finanziarie. E le nostre proposte non andavano a minare la stabilità del sistema economico e finanziario, perché si parlava dello 0,03%.
Dunque questa mancanza di volontà a cosa va imputata?
Al fatto che la politica attuale sta andando verso una logica di privatizzazioni anche dei servizi.
La contrattazione che cosa può fare?
Molto, anche in termini di drenare più risorse. Basta superare l’articolo 23 della legge Madia che congelava al 2016 il monte di produttività di ogni singola amministrazione. In altre parole le amministrazioni più virtuose non possono spendere dei fondi per premiare la produttività oltre una certa soglia. Abbiamo chiesto di defiscalizzare l’aumento contrattuale e il salario di produttività come nel privato. Ma se prendiamo l’atto di indirizzo del ministro per il rinnovo del contratto delle funzioni centrali che dice che questo deve avvenire a normativa invariata, è chiaro che si depotenziano gli spazi di manovra della contrattazione. Anche il nuovo ordinamento professionale del precedente rinnovo era un aspetto molto importante, sul quale avevamo chiesto la libertà di decidere, attraverso la contrattazione, i profili delle nuove famiglie professionali. Ma una circolare della Funzione pubblica ha bloccato tutto.
Sul fronte digitalizzazione e intelligenza artificiale a che punto siamo?
Quando si parla di transizione digitale o di intelligenza artificiale, al di là dei costi tecnologici altissimi, non dobbiamo dimenticare che bisogna investire in una nuova generazione di dipendenti pubblici, attraverso una formazione sempre più alta. E se questo non lo facciamo ora con il Next Generation Eu o con il Pnrr, quando potremmo farlo? Nel contratto, inoltre, non c’è nessun riferimento al tema dell’intelligenza artificiale, che è importantissimo. Serve la giusta formazione, che ancora manca, e bisogna evitare il rischio che si crei un doppio canale, uno in mano all’intelligenza artificiale e uno gestito alla maniera tradizionale. Occorre, in definitiva, stabilire il perimetro di attuazione dell’intelligenza artificiale, capirne i vantaggi e i possibile effetti distorsivi per i lavoratori e i cittadini.
Tommaso Nutarelli