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‘Gramsci e il jazz’ di Roberto Franchini

Nei “ruggenti anni Venti” la musica jazz irrompe come un ciclone nel ritmo compassato della vecchia Europa, abituata a ruotare a passo di valzer.
La Francia è il primo e più accogliente porto europeo per i nuovi brani che provengono dall’America, espressione di un desiderio di divertimento e della necessità di dimenticare in fretta gli orrori e le devastazioni della grande guerra.

 

Quella sinfonia dell’irrequietezza, di sottane corte e gambe in aria, che Josephine Baker trasforma in selvaggia seduzione, si presenta agli osservatori e ai critici come un’orgia di suoni e di movimenti, di evasione e di irrazionalità.

 

Gramsci, che dedica al jazz solo due appunti occasionali, sembra tuttavia intuirlo perfettamente: in quegli anni a Parigi si gioca l’egemonia culturale dell’intero paese e, considerata la rilevanza della Francia, anche dell’intera Europa. Egli teme che finisca per prevalere una cultura elementare e ripetitiva, poco incline alla riflessione, capace di impadronirsi del corpo prima ancora che della mente. Teme una società massificata, consumista, semplificata, meccanizzata, dove il jazz si intreccia con le fabbriche tayloristiche e le città americane popolate di grattacieli.

 

Informazioni:
Autore: Roberto Franchini
Casa editrice: Bibliotheka
Collana: Formiche
Anno: 2024
Pagine: 72 pp.
Prezzo: 12,00€