Presentazione
Un giovanissimo ottantenne
di Patrizio Paolinelli
Si può essere giovani a ottant’anni? Sì, se si è mossi da un’incrollabile passione per la politica, sì se si persegue la giustizia sociale, sì se si guarda al futuro facendo tesoro del passato. Bene, questi tre sì il lettore li troverà declinati in molteplici modi nelle interviste che Giorgio Benvenuto ha rilasciato al quotidiano on-line jobsnews.it commentando ogni settimana gli avvenimenti politici italiani più importanti e dibattuti. A partire dal 10 ottobre 2020 le interviste sono ospitate sul blog della Fondazione Buozzi in attesa della riorganizzazione di jobsnews.it dopo l’improvvisa scomparsa di Alessandro Cardulli, direttore della testata.
Per quanto mi riguarda ho avuto il compito di condurre le interviste per ben due anni, coprendo un arco temporale compreso tra la fine del 2018 e la fine del 2020. Ora le ho raccolte in questo libro pensando che possa costituire sia la testimonianza di un momento della nostra storia sia uno strumento utile per leggere in maniera ragionata e non gridata l’andamento della vita politica italiana.
L’idea di tenere una rubrica settimanale è nata qualche tempo dopo il nostro primo colloquio sul ruolo della sinistra e del sindacato. Era il 5 novembre del 2018 e a quell’incontro non sarebbero dovuti seguirne altri. L’intervista però ebbe un suo seguito e la direzione del giornale decise di aprire uno spazio settimanale fisso per dare a Benvenuto la possibilità di esprime il proprio punto di vista. Ma come organizzare un simile spazio? Adattandoci alla rapidità dell’informazione on-line. Nacque così la rubrica “Tre domande a Giorgio Benvenuto”. Tre domande secche, senza neanche un cappello introduttivo, su tre eventi politici. Con garbo e determinazione settimana dopo settimana Giorgio Benvenuto ha sferzato la politica italiana richiamandola al suo dovere di progettazione sociale, alla necessità del confronto con i corpi intermedi e alla tutela dell’interesse collettivo. Tre fattori decisivi per la convivenza democratica evaporati con l’ubriacatura per il mercato, la personalizzazione della politica e la privatizzazione di ogni aspetto della vita individuale e collettiva: in una parola con l’avvento del neoliberismo.
Forse è superfluo ricordarlo, ma per evitare l’accusa di omissione va detto che Giorgio Benvenuto è politicamente schierato: appartiene alla sinistra riformista e attualmente è iscritto al Partito Democratico. Scorrendo le pagine di questo libro il lettore si renderà conto che il riformismo di Benvenuto non è passivo, ossia di chi si adatta alla realtà delle cose. È invece un riformismo attivo di chi intende cambiare la società attraverso la forza di una razionalità sorretta dagli strumenti del dialogo e del confronto con i cittadini. I quali sono di volta in volta chiamati in causa come lavoratori, elettori, utenti, consumatori, contribuenti e così via. Credo che nessuno sia più alieno di Giorgio Benvenuto dall’idea di una riforma calata dall’alto. La sua ipotesi di riformismo parte sempre dal confronto con i soggetti a cui questa o quella riforma si applica per raccogliere suggerimenti, critiche e correzioni. Se volessimo sintetizzarlo con una formula il suo è un riformismo che nasce dal basso. E per Benvenuto questo approccio vale non solo per i processi politici, vale anche per quelli economici.
Tutto il contrario: il lettore troverà un giovanissimo ottantenne che ha ancora voglia di lottare. Con quale arma visto che non detiene più alcun incarico politico o sindacale? Quella della parola. E qual è la cifra del linguaggio politico di Benvenuto? Direi che si articola su tre piani: lo spirito critico, la democrazia partecipata, l’ispirazione umanistica. Proverò ora a descrivere brevemente questi piani, che ovviamente sono comunicanti.
In merito allo spirito critico Benvenuto ne ha da vendere. Cosa rara in un’epoca che tenta con ogni mezzo di bandirlo dal senso comune e dal dibattito pubblico. Ciò non significa che sia scomparso dalla società. Tutt’altro. Ma la narrazione dominante che passa attraverso i media mainstream tende a confermare il mondo così com’è o a cambiarlo mantenendo e talvolta peggiorando le asimmetrie nella struttura del potere come nel caso della cosiddetta rivoluzione digitale. In tal modo sempre meno il dibattito a cui assiste il grande pubblico avviene sul confronto tra differenti progetti di società. Tutto si muove all’interno della cornice dettata dal potere economico e ogni giorno si assiste alla celebrazione del pensiero unico. Ecco perché la critica di Benvenuto è finalizzata prevalentemente a spronare sia la sinistra sia il sindacato a passare al contrattacco dopo decenni di rassegnazione e in qualche caso di fascinazione nei confronti delle sirene del mercato.
Occorre tuttavia intendersi perché i modi di fare critica sono tanti e talvolta persino in contrasto tra loro. Il modo di Benvenuto non è finalizzato a dividere sulla base di presunte purezze ideali, ma a unire sulla base della comprensione delle differenze reali. Differenze che sono il sale di un vero confronto, differenze che vanno mantenute e il cui esito non può che essere una sintesi se si ha davvero a cuore l’interesse collettivo. Per Benvenuto il sindacato è un soggetto che rappresenta questa consapevolezza e questa tendenza. Tanto è così che oggi sta ritrovando un rapporto unitario in grado di tenerlo insieme nonostante diversità e divergenze.
Come il lettore vedrà, Benvenuto non è affatto tenero con l’attuale governo. Sostanzialmente cosa gli rimprovera? Di non avere un progetto, di non decidere, di non arrivare a una proposta chiara sui temi decisivi per la società italiana. Temi quali le crisi di grandi aziende, il precariato, l’impatto della robotica e dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, l’ammodernamento delle infrastrutture, lo squilibrio nell’accesso al sapere, l’utilizzo delle risorse finanziarie che l’Europa metterà a disposizione per affrontare l’emergenza economica scatenata dal Covid-19 e così via.
A ben vedere la sua critica muove da una precisa impostazione teorica: la filosofia della prassi. Ossia la critica intesa come strumento per cambiare la realtà delle cose. In particolare quando la realtà non funziona: per esempio, quando la tecnologia digitale applicata i servizi pubblici complica la vita ai cittadini anziché facilitarla. Oppure quando è iniqua: per esempio, nei confronti di due generazioni di giovani falcidiate dalla disoccupazione, dal precariato e costrette a emigrare all’estero per costruirsi un futuro. Dinanzi alle disfunzioni e alle ingiustizie sociali per Benvenuto scatta la necessità di un progetto che introduca i dovuti correttivi a livello sistemico.
Nell’agire politico di tanti governi, sia di centrodestra sia di centrosinistra, si assiste invece a continui rattoppi senza arrivare a una soluzione. E una soluzione è necessaria vista la fase di transizione dal modello industriale a quello postindustriale che il mondo intero sta attraversando.
L’approccio critico alla realtà delle cose ci conduce all’altro piano del vocabolario politico di Benvenuto: la democrazia partecipativa. Per scendere nel concreto ciò significa la partecipazione dei lavoratori al governo dell’attuale trasformazione dei processi produttivi, la partecipazione dei cittadini alla digitalizzazione dei servizi pubblici, la partecipazione dei soggetti collettivi alla trasformazione della politica e dello Stato. La globalizzazione neoliberista tende a escludere questi tre attori e a lasciare che le decisioni strategiche passino sulle loro teste. Lo si vede nel mondo del lavoro, dove l’interesse per i cosiddetti stakeholder non investe mai il cuore delle politiche aziendali. Lo si vede nel mondo della politica, dove tornano a fare la loro comparsa gli uomini della provvidenza e dove il parlamento è sempre meno un luogo di dibattito e di vero confronto.
Mettere in discussione questi processi in nome della partecipazione significa chiedere una vera e propria inversione di rotta rispetto al recente passato. D’altra parte la globalizzazione neoliberista si è dimostrata irrazionale perché sul fronte della produzione la delocalizzazione dell’industria è avvenuta in nome del profitto immediato, non è stata guidata e ha condotto all’impoverimento economico di interi territori; la privatizzazione selvaggia di beni co- muni e aziende strategiche prima in mano allo Stato si è rivelata il più delle volte antieconomica per i consumatori e per la società; la precarizzazione di un terzo dei lavoratori italiani insieme al fenomeno del paraschiavismo hanno creato un’inaccettabile sofferenza sociale e la fuga di massa di cervelli dal nostro paese; per di più ancora oggi la disoccupazione tecnologica non è affrontata adeguatamente.
Passando al fronte della riproduzione sociale la transizione socioeconomica è guidata da politiche neoliberiste ha significato la fine dei grandi partiti di massa, l’indebolimento dei corpi intermedi, la delegittimazione del sindacato, lo smantellamento del Welfare state, l’aumento delle disuguaglianze sociali, la distruzione dell’ambiente naturale, il monopolio delle grandi corporation del Web. In conclusione: per lavoratori e cittadini sono diminuiti i diritti, i redditi e la qualità della vita; allo stesso tempo la distribuzione della ricchezza si è spostata ancor più al vertice della piramide sociale.
Date queste tendenze è evidente che il neoliberismo contiene al suo interno spinte autoritarie. Come opporsi? Con più democrazia. Per Benvenuto sono il pluralismo sociale, e governare attraverso il dibattito le chiavi di volta per respingere tentazioni populiste e scorciatoie autoritarie. Non solo: è con la partecipazione che si possono affrontare gli atavici problemi italiani quali l’arretratezza della pubblica amministrazione e l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti. Paradossalmente la crisi da Covid-19 sta offrendo un’occasione d’oro per cambiare il corso della storia del nostro paese. Come? Abbandonando la cultura levantina che talvolta ci caratterizza – cultura che significa approssimazione, opportunismo e trasformismo – e abbracciando con decisione il progetto europeo ora che Bruxelles sembra sganciarsi dalle politiche neoliberiste.
Sul ruolo dell’Unione Benvenuto insiste molto. Non ne nasconde il difetto di essere diventata dopo il crollo del Muro di Berlino il braccio politico del neoliberismo a tal punto da aver alimentato le spinte populiste in tutto il continente e messo seriamente in crisi la costruzione del progetto europeo.
Occorre pertanto recuperare lo spirito originario dei padri fondatori basato sulla solidarietà sociale e sul rispetto della dignità del lavoro. La crisi sanitaria generata dal Covid-19 ha messo Bruxelles davanti a un bivio: o tornare all’Europa sociale o veder crollare il sogno dell’unione. Pare che sia stata scelta la prima strada e solo il futuro dirà se continuerà a essere percorsa. In quanto all’Italia l’adesione al progetto europeo è per Benvenuto strategica per due motivi. Primo, perché ci aiuterà a superare la cultura levantina che tanto ci penalizza e di cui abbiamo appena detto; secondo, perché solo restando agganciati all’Europa l’economia del nostro paese potrà essere competitiva in un’economia globalizzata.
La crisi innescata dal Covid-19 ha messo ancor più in luce i limiti della politica ancella del mercato per gli effetti nefasti che ha avuto sull’occupazione, sull’ambiente e sulla qualità della vita dei cittadini. Ovviamente spetta ai partiti ritrovare la propria centralità sociale dato che tutto, compreso il mercato, dipende dalle scelte politiche. Al di là e al di sopra di tali scelte Benvenuto registra con preoccupazione il generalizzato impoverimento del linguaggio dei politici. I quali nel dibattito pubblico soccombono ancora oggi alla politica spettacolo mentre è tempo di ricostruire una società sfibrata e frammentata. In poche parole, è tempo del fare e non del dire. E per fare si intende innanzitutto due cose: uscire dalla logica che guarda solo all’interesse del mercato e assumersi la responsabilità di realizzare progetti preventivamente discussi con i soggetti interessati. Per questo, come si può leggere dalle sue interviste, Benvenuto se la prende con quei politici che vivono di annunci, di eventi, di presenze in televisione e poi lasciano le cose come stanno.
La critica dello stato di cose presenti e l’idea di democrazia partecipata qualche rotta devono pur seguire, altrimenti prima o poi sono destinate a smarrirsi. Anche perché ogni dieci-quindici anni il capitalismo genera delle crisi i cui costi umani, sociali e ambientali diventano sempre più alti facilitando così l’autoritarismo in politica e in economia. D’altra parte è sotto gli occhi di tutti che oltre trent’anni di neoliberismo hanno prodotto povertà e disuguaglianze tali da interrompere l’incremento della giustizia sociale che aveva caratterizzato il ciclo dei Trenta gloriosi, ossia trentennio dal 1945 al 1975. Siamo alla fine del 2020 e senza tema di smentita si può dire che il neoliberismo ha fallito: con lo strapotere del mercato c’è meno democrazia e meno futuro. È arrivato il momento di cambiare. Per Benvenuto la rotta da seguire è quella del riformismo e la sua bussola è l’umanesimo socialista. Ossia una prospettiva in cui il valore della persona è centrale in qualsiasi dimensione della produzione e della riproduzione sociale.
L’umanesimo di Benvenuto è laico e tuttavia attento alle prese di posizione di Papa Francesco sui temi dell’uguaglianza e della solidarietà un tempo così cari alla sinistra. Sia ben chiaro: Benvenuto non è un teorico della politica e neanche ha l’ambizione di esserlo. È un cittadino consapevole, attivo che ha come punto di riferimento del suo pensare un documento i cui principi fondamentali sono oggi più che mai attuali. Il documento è la Costituzione italiana, al cui articolo 3 così recita: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del paese”. In questa chiave vanno letti i suoi rimproveri e le sue esortazioni alla politica e alla sinistra italiana.
Autore: Patrizio Paolinelli
Casa editrice: Ponte Sisto
Prezzo: 15,20€