Circolano in queste ore i contenuti di uno schema di disegno di legge governativo in materia di valutazione della performance del personale dirigenziale e non.
A quanto pare, dopo oltre 15 anni di riforma Brunetta siamo ancora alle prese con il difficilissimo problema di valutare la produttività dei dipendenti pubblici, per gli sviluppi di carriera dei dirigenti e per l’assegnazione dei premi di risultato ai non dirigenti. Premi che, per la cronaca, nel settore privato da 10 anni sono (giustamente) detassati e viaggiano in media intorno ai 1.700 euro annui, mentre nel pubblico ammontano a circa 500 euro.
Invece di trovare i soldi per estendere la detassazione anche al settore pubblico, il ministro della Pubblica Amministrazione pensa a rafforzare il carrarmato burocratico chiamato “ciclo della performance”. Ma le toppe sembrano peggio dei buchi.
Le incongruenze sono talmente tante che è impossibile riassumerle in poco spazio. Invece di alleggerire e semplificare il sistema (magari seguendo l’esempio di quanto avviene nel settore privato), lo si appesantisce sempre più. Qualche esempio:
- si vorrebbe scomporre la valutazione del personale in due parti: una “collegiale fra dirigenti”, a sua volta suddivisa in “fasi preventive e successive”; l’altra affidata agli “utenti esterni”.
- si vorrebbe introdurre un tetto massimo del 30% alle “valutazioni apicali” effettuate “per ciascuna categoria o qualifica”, il cui effetto sarà quello di generare economie da destinare all’incremento delle somme della retribuzione della performance.
- si vorrebbe affidare a ciascun dirigente il compito di redigere ogni anno una “relazione” in cui indica il personale “ritenuto idoneo ad assumere funzioni dirigenziali, o comunque superiori a quelle rivestite”.
E’ inutile girarci intorno: siamo al trionfo del peggiore istinto di controllo gerarchico del personale attraverso una gestione sempre più ottusa e burocratica del capitale umano della p.a. Altro che semplificazione! Qui si va nella direzione opposta. Con in più il rischio di mettere nelle mani della dirigenza uno strumento potente e pericoloso di pressione e di condizionamento nei confronti del personale.
Se queste norme dovessero passare, la pubblica amministrazione si allontanerà ancora di più dal mondo del lavoro produttivo contrattualizzato, dove i sistemi di valutazione sono semplici, trasparenti e, soprattutto, condivisi con le organizzazioni rappresentative dei lavoratori.
Nella p.a. italiana, chissà perché, anziché abbandonare la vecchia mentalità militaresca dal vago sapore sabaudo, si procede come i gamberi. E si insiste col disegnare riforme (o pseudo-tali) il cui unico risultato concreto è quello di abbassare la produttività aumentando a dismisura gli adempimenti formali a carico degli uffici. I quali già oggi sono in affanno e impegnano un numero abnorme di risorse umane, che potrebbero invece essere destinate ad attività ben più utili per la collettività.
Insomma, sembra di essere di fronte a una sorta di Brunetta bis. Ma un bis peggiorativo, purtroppo, anche nel metodo che esclude totalmente le organizzazioni sindacali dalla discussione.
Se il ministro Zangrillo insisterà su questa strada, non c’è da dubitare che finirà esattamente come è finita la riforma del suo predecessore: affondata in una palude di regole assurde e inapplicabili. Regole buone per la propaganda politica, ma lontane mille miglia dalle reali necessità delle strutture pubbliche al servizio dei cittadini.
Sandro Colombi,
Segretario generale UILPA