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Colombi. Per i dipendenti pubblici arriva l’etica a macchia di leopardo

Raffaello. Scuola di Atene

Il decreto-legge PNRR n. 36 del 30 aprile scorso sulla Pubblica Amministrazione si avvia a concludere un percorso parlamentare piuttosto complicato. Il testo che uscirà dall’esame delle due Camere sarà molto diverso da quello originario, a cominciare dal consistente aumento del numero degli articoli. Aumento che prosegue la tradizionale ipertrofia legislativa che caratterizza tutti gli interventi in materia di Pubblica Amministrazione e di lavoro pubblico. 

Governi di ogni colore continuano a sfornare norme speciali destinate al settore pubblico. Norme che si accavallano e si intrecciano con quelle preesistenti in un groviglio di disposizioni confuse che fanno la felicità di consulenti, giuristi e burocrati dalla mentalità ottocentesca. Salvo poi invocare la compilazione di Testi Unici su ogni materia per uscire dal ginepraio in cui ci si è infilati.

Alcune delle numerose modifiche inserite nel DL 36 riguardano l’articolo 4 concernente i codici di comportamento dei dipendenti pubblici e il nuovo concetto di formazione sul tema dell’etica pubblica. Il codice di comportamento dei dipendenti della P.A. (un concentrato illeggibile di sterili formalismi burocratici) andrà aggiornato entro il 31 dicembre 2022 prevedendo una sezione riguardante il “corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici” per “tutelare l’immagine della Pubblica Amministrazione”.

A parte l’unilateralità dell’iniziativa la materia è molto scivolosa. Da un lato, sembrerebbe limitare la libertà dei cittadini-lavoratori di esprimere le proprie opinioni dentro e fuori il luogo di lavoro; dall’altro, ci chiediamo se fissare dei parametri per valutare l’utilizzo degli strumenti di comunicazione da parte dei dipendenti pubblici non presupponga la loro sorveglianza al di fuori dell’ambito lavorativo. Al di là di questi aspetti cosa c’entra una norma del genere con l’attuazione del PNRR? 

Quanto alla formazione sul tema dell’etica, le modifiche al decreto 36 ne enfatizzano l’aspetto coercitivo. Infatti, il “ciclo formativo” sarà “obbligatorio” sia per i nuovi assunti che per i lavoratori già in servizio; ma per questi ultimi solo in caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, oppure in caso di trasferimento. E sarà di “durata e intensità” proporzionata al grado di responsabilità dell’incarico rivestito. È come dire che i principi non hanno un valore universale ma seguono una scala gerarchica. Il che ci riporta ad Aristotele che considerava gli schiavi macchine animate e nulla più. Macchine animate per le quali non valeva l’etica dell’aristocrazia. La quale ne aveva una su misura per sé così come la burocrazia di oggi sembra plasmare un’etica a propria immagine e somiglianza. Strano, ma è quello che hanno scritto.

Ci pare evidente che gli autori di questa norma non hanno la minima idea di come si svolga il lavoro negli uffici della P.A. Davvero qualcuno pensa che basti chiamare qualche illustre docente a discettare di principi astratti per migliorare la qualità del lavoro e dei servizi nelle amministrazioni statali? O più banalmente ci troviamo davanti al solito acquisto di video-lezioni e corsi confezionati da qualche società privata che indica ai dipendenti pubblici quali sono i comportamenti morali da seguire? È spontaneo pensare: da che pulpito viene la predica!

A parte il business della formazione a questa incursione sull’etica probabilmente non crede nemmeno il Parlamento tanto appare già segnata dalla sua scarsa utilità. Tra le tante cose lo dimostra un riferimento nascosto fra le pieghe dell’articolo 4 del decreto: la “durata e intensità” del ciclo formativo sono correlate ai “limiti delle risorse finanziarie disponibili”. Insomma: un’etica a macchia di leopardo.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 29 giugno 2022

 

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