Ormai non passa giorno senza che indagini, studio e statistiche confermino il progressivo impoverimento degli italiani. L’incremento delle disuguaglianze sociali è un processo che dura da decenni: all’inizio strisciante e per molti impercettibile. Poi sempre più accelerato, fino a esplodere con la pandemia.
Per comprendere la gravità della situazione, dobbiamo modificare il concetto di povertà. Siamo abituati ad associare la povertà alla disoccupazione e a dare per scontato che l’aumento dei posti di lavoro porti automaticamente un miglioramento generale delle condizioni economiche delle persone e delle famiglie.
Da tempo non è più così perché la povertà colpisce o sfiora anche i cittadini che hanno un lavoro, persino stabile. Per rendersene conto basta leggere la Relazione del Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia presentato pochi giorni fa al Ministero del Lavoro. Un problema reso più drammatico dai tagli alla spesa pubblica e ai servizi sociali perpetrati selvaggiamente in nome delle regole europee di stabilità finanziaria.
E con questo si arriva al nodo centrale: le regole finanziarie. Non c’è settore lavorativo, non c’è aspetto della vita sociale, familiare, economica o lavorativa che non abbia pagato lo scotto dei dogmi economici neoliberisti imposti dagli accordi europei degli ultimi trent’anni. Dogmi che nel corso del tempo hanno dimostrato il loro completo fallimento: la maggioranza dei cittadini è impoverita, mente un’esigua minoranza si è arricchita. Chi vive la realtà della Pubblica Amministrazione ha quotidianamente sotto gli occhi le conseguenze di queste scelte suicide: miliardi di euro di tagli di spesa, 500mila posti di lavoro persi in 15 anni e un invecchiamento demografico che non ha eguali nel mondo.
È arrivata l’ora di chiederci se abbia ancora senso continuare su questa strada. Se sia logico continuare a vincolare il destino dei popoli europei ad astruse formule matematiche su cui nessuno ha mai chiesto il consenso dei cittadini. L’austerità imposta dai falchi neoliberisti di Bruxelles ci sta uccidendo. Se ne cominciano a rendere conto anche oltre confine, al punto che la Commissione Europea ha aperto un confronto interno proprio sulla revisione del Patto di Stabilità. Verrebbe da dire: bentornati nel mondo reale.
Ma i tempi della tecnocrazia europea sono lunghi, mentre i cittadini hanno bisogno di risposte urgenti. La UIL in questi giorni ha avviato una massiccia campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla necessità di introdurre profonde modifiche al Patto di Stabilità. Attenzione: non si tratta di “allentare” le regole per guadagnare uno, due, tre anni e poi ricominciare come prima. Come ha sostenuto Pierpaolo Bombardieri, chiediamo di avviare una nuova stagione riformista per superare decenni di controriforme. E di farlo subito.
Sappiamo benissimo che gli ostacoli da superare sono immensi. Su tutto, c’è da scardinare un blocco ideologico che da decenni si traduce in precise scelte di politica economica e sociale. È l’ideologia di chi vuol farci credere che l’austerità è un dogma e che l’impoverimento progressivo è il destino che tocca ai popoli “indebitati” come il nostro, anche se producono più ricchezza di quella che consumano.
Di fronte ai disastri economico-sociali provocati dalle politiche economiche neoliberiste servono nuove priorità. La ricchezza prodotta dal lavoro va redistribuita innanzitutto fra coloro che la producono: lavoratori, cittadini e imprese oneste e non da speculatori travestiti da imprenditori. I parametri europei non le tavole di Mosè. Si possono cambiare se si vuole come qualunque regola stabilita dagli uomini.
Risorse per la sanità, tutele reali per le fasce rese deboli dal neoliberismo, occupazione dignitosa, investimenti produttivi, fondi al lavoro, equità fiscale, istruzione di qualità, difesa del potere d’acquisto dei salari, pensioni dignitose: tutto si può riassumere in una sola formula: ridateci l’Europa sociale.
Ancora Patto di Stabilità? No, grazie.
Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione
Roma, 22 gennaio 2022