di Guido Melis
La classica Storia d’Italia di Benedetto Croce (prima edizione Laterza, 1927) reca tra l’altro un lapidario giudizio sulla burocrazia italiana negli anni successivi all’unità. Giudizio lapidario ma anche largamente positivo, che contrastava polemicamente con la consistente campagna “antiburocratica” in atto sin dai primi anni del nuovo regno e con le ricorrenti critiche verso la cosiddetta “impiegomania”.
Della burocrazia si usa fare la satira, non più e non meno che di ogni altra professione, dei medici, degli avvocati, dei preti, ma la satira non è giudizio e il giudizio comincia quando si considera che tutto il lavoro allora e poi ideato dagli uomini di governo italiani fu eseguito appunto dalla burocrazia, il cui miglioramento qualitativo si accompagnò a quello generale del paese, scelta come fu solitamente per concorsi, con sempre maggiori requisiti di cultura, e fornita di dignità morale assai maggiore al confronto degli impiegati dei vecchi governi.
Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1927 (qui si cita l’ottava, 1943), p. 47.