Il 31 luglio scorso Federico Freni, sottosegretario di Stato al Ministero dell’economia, ha parlato su un canale televisivo nazionale del problema salari affermando testualmente:
“I salari in Italia non sono così bassi, anzi […] I dati Istat dicono che ci sono dei settori dove i salari sono particolarmente bassi ma quello è un tema di competitività del sistema, di attrazione del sistema, che va risolto.”
Utilizzando i dati dell’ormai addomesticata Istat il sottosegretario si riferisce all’aumento dell’indice delle retribuzioni contrattuali orarie di marzo 2024 rispetto a marzo 2023 (+3%), con un aumento tendenziale dell’1,6% per i lavoratori della P.A.
Purtroppo per il sottosegretario se i numeri non sono inseriti nel loro contesto lasciano il tempo che trovano. E il contesto presenta sia un’inflazione galoppante sia una forbice sempre più ampia tra l’aumento degli stipendi e l’aumento del costo della vita.
E così, a smentire l’Istat e il governo ci pensa l’Ocse. Secondo i dati di questa Organizzazione l’Italia è al ventunesimo posto (su 34 Paesi) per quanto riguarda i salari medi annui, mentre i salari reali sono praticamente fermi da vent’anni. Anzi, se guardiamo i dati del gruppo bancario Unicredit, si nota come in Italia la retribuzione reale per dipendente tra il quarto trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2023 sia addirittura scesa dell’8%.
Tutto ciò significa che le retribuzioni non aumentano, anzi il potere d’acquisto dei lavoratori italiani cala sempre di più facendo scivolare sotto la soglia della povertà precari, autonomi e lavoratori part-time. Infatti, persino l’Istat è costretta ad ammettere che la povertà investe l’8,5% delle famiglie, ma il governo preferisce taroccare i numeri.
Luca Colafrancesco, Ufficio comunicazione UILPA
Roma, 24 agosto 2024