Assemblea cittadina e attivo nazionale dei delegati
Roma, 8 novembre 2023
Testo integrale dell’intervento di Sandro Colombi,
Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione
Buongiorno a tutti.
Grazie per la presenza massiccia a questa assemblea delle categorie del pubblico impiego. Assemblea atta a spiegare le motivazioni per le quali CGIL e UIL sono in lotta contro un governo e una Legge di bilancio incredibilmente penalizzante per il Paese, per i lavoratori in generale e per quelli del pubblico impiego in particolare.
Parto da un assunto: il nostro datore di lavoro è il governo. E pare che quello attuale non si distingua molto per la genuflessione ai diktat di Bruxelles e alla ormai arcinota ideologia neoliberista. Guardate, lo preciso ma davvero solo per un po’ di accademia: l’ideologia neoliberista non è altro che la vecchia ideologia capitalistica senza più alcuna opposizione politica degna di questo nome. E il governo Meloni continua a scavare un solco già arato. Ha uno scopo preciso che ormai credo sia piuttosto chiaro: e cioè indebolire quanto più possibile la struttura della Pubblica Amministrazione. È evidente che questa è un’operazione che accontenta i poteri economici, che così io credo continueranno ad appropriarsi gratis dei numerosissimi servizi che lo Stato rende ai cittadini. Ma in questo modo, ovviamente, scontenta noi lavoratori e soprattutto noi dipendenti pubblici che siamo sempre meno, in tantissimi uffici, a portare sulle nostre spalle carichi sempre più pesanti e con un organico ormai ridotto all’osso.
Noi siamo in una situazione nella quale, se non arriva un ricambio generazionale, vanno al collasso molti dei gangli vitali della Pubblica Amministrazione. E allora, come spera di risolvere il governo questa contraddizione? Io credo non certo con le assunzioni a tempo determinato, perché quelle sono un fallimento oggettivo. Per preparare un buon quadro, un buon funzionario della Pubblica Amministrazione, servono dai 5 ai 7 anni, quando va bene. È molto più probabile che il governo andrà avanti con le esternalizzazioni e cercherà di sostituire, per quanto è possibile, gli impiegati pubblici con le tecnologie digitali. Ma noi tutti sappiamo perfettamente che questo è solo parzialmente possibile. Ecco, io credo, che oggi noi siamo qua per dire un primo no a questo tipo di politica. Ed è un no forte chiaro che si dovrà levare da tutte le piazze nelle quali noi andremo a protestare contro il governo. A protestare contro la signora Meloni che, come tanti suoi predecessori, sta continuando a indebolire e a impoverire la Pubblica Amministrazione e dunque a impoverire e indebolire il Paese.
La questione della difesa della Pubblica Amministrazione non è una questione di bottega. Non è circoscritta ai corporativismi della singola sigla o alle categorie della funzione pubblica nelle organizzazioni confederali. No, è una questione politica. E guardate che nessuno Stato forte ha un’amministrazione debole. Indebolire la Pubblica Amministrazione significa tradire il Paese. Ritengo che questo sia quello che sta facendo la signora Meloni e come lei molti dei governi che l’hanno preceduta. Ecco, questo è uno dei motivi per i quali noi il 17 saremo in piazza nell’interesse di tutto il Paese, di tutte le persone, di tutti i cittadini.
Penso che sia molto importante attraverso queste assemblee, questi nostri confronti essere in grado di trasmettere il nostro messaggio all’opinione pubblica perché credo che sia facile notare che come sempre giornali e giornalisti non ci sono sicuramente favorevoli. Noi dobbiamo denunciare pubblicamente che la quasi totalità della stampa è asservita ai poteri politici e ai poteri economici. I quali, ormai è indubbio, l’ho detto e lo ripeto forte, vogliono le privatizzazioni per arricchirsi. Sono 30 anni che si privatizza. Abbiamo svenduto ai prenditori di professione, perché chiamarli imprenditori sarebbe troppo nobile, tutto o quasi l’immenso patrimonio che era posseduto dallo Stato.
Qual è stato il risultato? Qualcuno di noi può dire che per effetto delle privatizzazioni trentennali in questo paese c’è stato un miglioramento dei servizi? I cittadini possono dire di essere stati agevolati rispetto a questo tipo di attività politica? Io credo assolutamente no. Credo semmai che si possa sostenere con forza che il paese si sia impoverito. I poveri aumentano di anno in anno. Abbiamo ormai raggiunto una quota che supera i 6 milioni di individui che si trovano in povertà e tanti lavoratori pubblici non arrivano a fine mese. Anche qua è bene chiarirsi. Perché con uno stipendio netto di 1.500 euro mensili non sei classificabile come working poor, ma se con 1.500 euro devi pagare un mutuo, che è arrivato alle stelle, devi pagare un affitto, devi mantenere una famiglia, una moglie e dei figli è chiaro che sei un lavoratore povero.
C’è una questione salariale importante da trattare all’interno di questo Paese. Ma di fatto l’Italia non è più la potenza economica che era negli anni 70-80. E dinanzi a questa catastrofe il governo Meloni continua a svendere quel poco che è rimasto del patrimonio pubblico. Ormai ci manca solo Canal Grande e il Colosseo. È facile fare una previsione: quando avranno finito di privatizzare, le disuguaglianze sociali in questo Paese raggiungeranno livelli ottocenteschi e la miseria sarà dilagante. Non lo dico perché voglio fare l’uccello del malaugurio, ma perché è una previsione facile. In un Paese come gli Stati Uniti questo è esattamente ciò che sta accadendo. E siccome noi questo modello non lo vogliamo, credo che il 17 dovremmo dire in maniera molto forte: basta, basta e ancora basta a una politica che sta distruggendo lo Stato sociale.
Qualcuno potrà dire, sì, ma andate in piazza senza la CISL? Non voglio fare troppi giri di parole, sicuramente é una spaccatura forte, significativa perché avviene in un momento cruciale della storia del lavoro, pubblico e privato. Da questo punto di vista non si fa distinzione perché io credo vada anche a toccare l’idea stessa del sindacato così come lo abbiamo immaginato fino ad oggi. Guardate noi non siamo affatto contrari ai cambiamenti e mi permetto anche di parlare per la CGIL. In realtà anche al nostro interno auspichiamo i cambiamenti che servono per adattarsi plasticamente alle grandi evoluzioni sociali che intervengono di volta in volta nella storia. Ma defilarsi proprio quando la battaglia che si combatte intorno al lavoro pubblico si fa più dura, io credo che sia davvero profondamente sbagliato.
Ormai è chiaro, c’è un’alleanza tra potere politico, potere economico e potere mediatico. È palese il progetto: vogliono dare una spallata forte e finale al sistema dei diritti e al sistema della contrattazione così come l’abbiamo faticosamente costruita in tutti questi anni. Forse dobbiamo anche fare un po’ mea culpa rispetto a questo progetto perché non data da oggi. Ricordo sommessamente quello che era il diritto alla contrattazione, che c’è stato negato anni fa. Ecco, forse sì, avremmo dovuto alzare un po’ di più la voce. Non l’abbiamo fatto e abbiamo iniziato a perdere pezzi. Ma come diceva Nenni solo i morti e gli imbecilli non cambiano mai idea e quindi non aderire allo sciopero del 17 è una cosa davvero molto grave. Perché ovviamente quello che ci viene da pensare è che evidentemente qualcuno non crede più nella contrattazione collettiva o ci crede molto di meno rispetto al passato. Però, io ve la dico esattamente piatta come la penso, noi non siamo orientati a diventare un sindacato dei servizi, più che di rivendicazione. Non siamo un sindacato che cerca più che altro di parare i colpi anziché rivendicare i diritti. Noi crediamo di avere una strada chiarissima davanti che è quella della rivendicazione dei diritti. Quelli che orientano il nostro agire come strutture confederali per la nostra genesi e per la nostra genetica. Perché senza rivendicazione e senza lotta sostanzialmente non c’è nemmeno più il sindacato: c’è un’agenzia di servizi al pubblico. Quella di creare le agenzie per il servizio al pubblico credo davvero che sia una strategia perdente per un sindacato degno di questo nome, per tutti i lavoratori e anche per i cittadini che usufruiscono di servizi pubblici. Questa è un’altra cosa che dovremmo gridare forte nelle piazze il 17 prossimo.
Perché, vedete, entrando un po’ nel dettaglio di quelle che sono le motivazioni e le argomentazioni che ci spingono a essere particolarmente incazzati – si può dire? – noi abbiamo una manovra economica del governo che stabilisce che dal primo gennaio 2024 saranno modificati i coefficienti per il calcolo delle quote di rendimento retributive. Lo sappiamo tutti, lo sanno anche gli addetti ai lavori che questo comporterà una penalizzazione enorme per tutti gli importi pensionistici, soprattutto per coloro che hanno un’anzianità inferiore a 15 anni con il sistema retributivo. A essere colpiti, e sono indicati addirittura all’interno della norma, sono i dipendenti iscritti alla CPDEL, cassa per le pensioni dei dipendenti degli enti locali, quelli iscritti alla cassa per le pensioni dei sanitari, la CPS, e alla cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementare parificate, la CPI. A parte l’ingiustizia del provvedimento, che è grottesco in quanto tale e odora già di incostituzionalità, io credo che quello che colpisca maggiormente è la stupidità di una norma che rappresenta un segnale chiaro per far uscire tutti coloro che si sentono particolarmente colpiti. E infatti, visto che non ci facciamo mancare nulla, è già in previsione una emorragia di migliaia di medici che coglieranno l’occasione per andarsene prima di essere penalizzati, quando in questo Paese serve un’immissione di migliaia di medici, non la forzatura a un esodo dal sistema sanitario.
Pare però che almeno a qualcuno il buon senso sia tornato. E, insomma, su questa norma sembra che si stia facendo un po’ di marcia indietro. Allora la domanda viene ancora più spontanea: ma se questa doveva essere la Legge di bilancio che sanava tutti gli aspetti, sulla quale erano tutti d’accordo, e poi basta una verifica di questo tipo, beh io credo che questa verifica e questo tipo di situazione garantiscano l’inadeguatezza delle norme scritte e anche dell’attenzione che è stata posta alle forze politiche che compongono la maggioranza. Perché, guardate, la cosa che veramente io credo ci abbia fatto saltare sulla sedia, è che ce ne voleva per peggiorare la legge Fornero.
Bisognava davvero essere fantasiosi e creativi perché venisse prorogata la cosiddetta quota 103 con 62 anni di età e 41 di contributi, ma c’è anche qualche sorpresa negativa in più perché chi aderirà nel 2024 avrà l’intera pensione calcolata col metodo contributivo al posto del sistema misto e anche questo comporterà un pesante abbattimento dell’assegno. Inoltre, la misura della pensione non potrà essere superiore a 4 volte il minimo contributivo lordo INPS, sino al compimento dei 67 anni di età. Oggi erano cinque volte. Secondo qualche stima tecnica, con la nuova quota 103 il numero delle pensioni erogate nel 2024 non supererà le 18mila unità contro le 178mila del 2023. Immaginate la Fornero: avrà esultato, quando ha letto la nuova norma, dicendo: sono stati in grado di peggiorare la mia.
Ma scusate, il primo indirizzo di questo governo non era che la legge Fornero avrebbe dovuto essere cancellata dalla storia della Repubblica? Forse qualcuno gli dovrebbe spiegare bene l’italiano. Cancellare non è potenziare, non è peggiorare. Perché evidentemente qualcuno con l’italiano ha qualche difficoltà. E siccome stiamo parlando di sperequazioni a danno del lavoro pubblico, come non ricordare il cambio delle finestre mobili per i pensionamenti anticipati? Perché che il tempo di attesa che deve trascorrere tra la maturazione dei requisiti, 62/41, e la percezione del primo rateo pensionistico rispetto agli attuali tre mesi, per i privati, e sei mesi per i dipendenti pubblici, viene peggiorato perché dal 1° gennaio 2024 l’attesa sarà di 7 mesi per i privati e di nove mesi per i dipendenti pubblici. Attendo con ansia che qualcuno mi spieghi l’esatto motivo di questa ennesima differenza di trattamento fra i lavoratori pubblici e i lavoratori privati. Ma non bastava la mancata detassazione del salario accessorio e della tredicesima, che era un impegno di questo governo, ma che ha puntualmente disatteso? Non bastava il fatto che il TFS e il TFR noi ce lo dobbiamo pagare attraverso le banche? Non bastava che ci venissero penalizzati i 15 giorni di malattia? Questa è una situazione che sta diventando veramente intollerabile per i dipendenti pubblici. E ve lo dico con una punta di orgoglio e con un po’ di rammarico: è notizia di questi giorni che sulle visite fiscali la UILPA è riuscita a vincere una battaglia che è durata anni, dimostrando l’iniquità di quella norma Madia che diceva che per le visite fiscali l’arco orario di reperibilità per i dipendenti pubblici doveva essere enormemente superiore rispetto a quello dei dipendenti privati. Una soddisfazione parziale, perché il ragionamento che faccio io è: ma per avere dei diritti costituzionalmente riconosciuti dobbiamo ricorrere ai giudici? È l’incapacità della politica che obbliga a questo tipo di iniziative. E noi vogliamo che la politica riconosca quelli che sono stati i suoi fallimenti e metta le pezze alle aberrazioni che sono state compiute fino a questo momento.
E aggiungo: anche l’Ape Sociale è stata prorogata di un anno. Ma invece dell’attuale requisito anagrafico di 63 anni, si potrà accedere a questo strumento solo con 63 anni e 5 mesi, cioè dovunque hanno peggiorato le situazioni esistenti. Quindi niente ampliamento per quanto riguarda le categorie di lavori usuranti, rispetto a quelle riconosciute dalla legge 234 del 2021, né riduzioni contributive per le categorie particolarmente a rischio salute. Viene inoltre introdotta l’incumulabilità totale della prestazione con redditi di lavoro dipendente autonomo, tranne il lavoro occasionale, entro un massimo di 5mila euro con taglio dell’assegno, il cui importo massimo verrà limitato a 1.500 euro, senza tredicesima, senza adeguamenti dovuti all’inflazione fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia a 67 anni. È stato possibile peggiorare anche una misura sociale.
Ma la cosa che più, credo, debba indignare è Opzione Donna, che con questa legge di bilancio è quasi all’addio. Sono già state confermate le restrizioni introdotte l’anno scorso, cioè sono titolari solo le caregivers, le invalide al 74% e le disoccupate. E in più si introducono nuove restrizioni: infatti ora occorrono 61 anni, non più 60, e 35 anni di contributi dal 31 dicembre 2023. Restano le riduzioni di un anno del requisito contributivo per ogni figlio fino a un massimo di due anni, ma non è prevista nessuna riduzione per quanto riguarda le cosiddette finestre mobili, cioè 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome. Ecco io credo che questo sia con buona pace di chi affermava in campagna elettorale che sarebbe stata a fianco delle lavoratrici, alle quali questo fiancheggiamento è costato due anni di blocco delle retribuzioni e anche l’impossibilità di attuare questa norma per ottenere una pensione anticipata che, sia chiaro, non si richiedeva per guadagnarci, anzi alla lunga il calcolo è che in cinque anni lo Stato ci avrebbe guadagnato. Io credo che se una donna chiede di andare in pensione anticipata è perché, magari, ha delle situazioni familiari talmente drammatiche che la costringono ad abbandonare il lavoro, ma l’Opzione Donna, in questo caso, viene completamente disincentivata, per non dimenticare che noi abbiamo sempre la parolina magica: spending review. Anche in questa legge di bilancio la spending review è sulla breccia, perché l’articolo 88 ci ricorda in maniera molto precisa che a decorrere dal 2024 le dotazioni di competenze e di cassa relativa alle missioni e ai programmi di spesa degli stati di previsione dei ministeri sono ridotte di 1,7 miliardi nel biennio 2024-2025, a cui si aggiungerà un altro miliardo di euro di tagli permanenti a decorrere dal 2026. Ce lo spieghiamo adesso da dove sono arrivati i soldi per i rinnovi contrattuali? Dai tagli dell’amministrazione pubblica, né di più né di meno, e vorrei che questa cosa fosse chiara, perché sulla legge di bilancio girano voci di propaganda, volantini che illustrano e che spiegano… Il governo sta diffondendo il messaggio, ce l’ha detto nel secondo ed ultimo incontro che abbiamo avuto con Ministro della funzione pubblica, che sono disponibili 7 miliardi di euro per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del 2022/2024 nel settore pubblico.
La realtà amici e compagni è molto diversa. Perché nell’articolo 10 del disegno di legge di bilancio – andatevelo a leggere – sono previsti 3 miliardi di euro per il 2024, ma andranno suddivisi per tutti i settori del pubblico impiego, polizia, comparto sicurezza, soccorso pubblico. Io credo che, con tutta la fantasia che possiamo avere, Serena, immaginare di poter aprire una serie contrattazione sul rinnovo con 3 miliardi per tutto il comparto pubblico… se qualcuno ci ride in faccia, non fa nemmeno male. E solo nel 2025 noi avremo altri due miliardi, quindi totale 5. E a questo punto io vi faccio una domanda. Ma secondo voi, con 5 miliardi di euro in questo biennio è possibile recuperare l’inflazione che ha morso in questi anni? Per cui l’ISTAT, non il sindacato, ha definito la necessità di recuperare il potere d’acquisto attraverso i rinnovi contrattuali sulla base del 16.1%? Così non superiamo il 4%. Non siamo nemmeno a un quarto di quello che sarebbe il recupero della falcidia che l’inflazione ha provocato in questi anni, altro che valorizzazione del pubblico impiego, altro che valorizzazione dei pubblici dipendenti.
È irraggiungibile con queste somme stanziate poter almeno immaginare di recuperare un po’ dell’inflazione che ci ha stroncato. E sempre nell’articolo 10 del disegno di legge c’è la previsione che dal gennaio 2024 l’indennità di vacanza contrattuale sarà incrementata automaticamente in base a un indicatore fissato per legge a titolo di anticipo sui rinnovi del 2022-2024: operazione puramente ragionieristica, che viene portata avanti senza il minimo coinvolgimento delle organizzazioni sindacali. I soldi nostri, cioè quelli che per legge andrebbero distribuiti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro, hanno deciso, per legge, di moltiplicarli per questo coefficiente 6,7 che, credetemi, da dove viene fuori io non ne ho la più pallida idea. Ma chi lo ha stabilito che 6,7 è un criterio adeguato al recupero dell’indennità di vacanza contrattuale?
Dove? In quali stanze? Chi ce l’ha comunicato prima? E per far capire quanto la costruzione è elaborata in termini di destrutturazione del sistema contrattuale, parallelamente al disegno di legge di bilancio in Parlamento viaggia anche il cosiddetto decreto anticipi, cioè il decreto-legge 145 del 2023 che, all’articolo 3, stanzia 2 miliardi per infilare nella busta paga di dicembre un anticipo dell’anticipo. Peccato, che giusto un anno fa la legge di bilancio del 2023 aveva stanziato un miliardo per quella famosa una tantum – ve la ricordate? – da corrispondere solo per il 2023 e i cui importi, fissati a suo tempo dal MEF, da gennaio usciranno dalla busta paga.
Quindi fra il dare e avere, alla fine dei giochi l’aumento reale delle retribuzioni da gennaio 2024 sarà sostanzialmente irrisorio. E comunque, tanto per capirci, questo anticipo è finanziato con i soldi nostri sottratti alla contrattazione, cioè il 30% dell’ammontare che avrebbe dovuto entrare in contrattazione per il rinnovo lo fanno con decreto. E la domanda che allora sorge spontanea è: ma come hanno prelevato il 30% adesso, che cosa impedirà di prelevare il restante 70? Cosa impedirà di prelevare tutto e di far decidere alla politica, secondo l’opportunità del momento, di prendere i nostri soldi e di distribuirli come meglio crede, cancellando sostanzialmente la contrattazione collettiva nazionale di lavoro.
E se qualcuno avesse dei dubbi, basta andare a vedere quello che succede per incentivare le nascite e le famiglie. Ormai che c’è un calo demografico e che c’è una popolazione che sta invecchiando lo vediamo noi nel pubblico impiego. L’età media ormai sta raggiungendo pericolosamente il limite dei 60 anni di età. Eppure, a fronte di questo dato assodato, in legge di bilancio il governo decide di raddoppiare l’IVA dal 5 al 10% sui prodotti per l’infanzia, mentre per i seggiolini da auto per i bambini inspiegabilmente l’IVA ritorna al 22%. E poi ci sono questi strani parallelismi che seguono il disegno di legge, perché sempre in parallelo al disegno di legge, ma con un percorso ben distinto, il governo ha approvato una legge delega per la riforma fiscale – credo che gli amici e i compagni dell’Agenzia delle Entrate ne sappiano qualcosa – da attuare entro 24 mesi. Uno dei punti essenziali di questa riforma sarà l’accorpamento delle prime due aliquote IRPEF, per effetto delle quali si pagherà il 23% fino a 28 mila euro, il 35% per i redditi da 28 a 50.000 euro, e il 43% oltre i 50mila euro.
Attenti, però, perché quello che può sembrare una cosa razionale nasconde sempre il trabocchetto, perché nello stesso tempo scatterà la revisione di tutte le detrazioni fiscali, il che in pratica servirà a mantenere invariata, se non probabilmente ad accrescere, la tassazione per un numero imprecisato di cittadini. E perché?
Chi deciderà le detrazioni da eliminare? E quale sarà esattamente la linea di demarcazione oltre la quale il calo dell’IRPEF risulterà neutralizzato dagli aumenti della tassazione extra lavorativa?
Credo che sia ormai abbondantemente chiaro che l’obiettivo politico di questo governo è quello di depotenziare la contrattazione collettiva, soprattutto nel settore pubblico. L’idea che hanno è quella di rimettere tutte le decisioni che riguardano la retribuzione dei dipendenti pubblici nelle mani del legislatore, ve li ricordate i vecchi DPR? Guardate che questo è far tornare indietro la lancetta dell’orologio di almeno 50 anni, quando i contratti collettivi nazionali di lavoro nella P.A. non esistevano affatto. Era la politica che decideva a suo piacimento quando era in grado di elargire le prebende ai servitori dello Stato e fissava le priorità secondo le opportunità del momento.
Ecco io credo che questo sia un modo di procedere da parte della politica che cerca di dare scacco matto a quello che è stato un sistema sindacale che in realtà invece ha funzionato brillantemente e vogliono rendere di fatto superfluo e sostanzialmente inutile il contratto collettivo nazionale di lavoro. Lo abbiamo già verificato nel momento in cui chiudiamo l’ultimo contratto e molti integrativi all’interno delle nostre amministrazioni, nella contrattazione di Ministero o di Ente, entrano papi e escono cardinali, perché gli accordi raggiunti vengono falcidiati dall’analisi della Funzione Pubblica e della tecnocrazia degli enti di controllo che cancella quello che la contrattazione integrativa è riuscita a portare a termine. Io credo che il 17 dovremmo far capire al governo che questo gioco ormai è da noi abbondantemente conosciuto e io credo che noi potremmo rinunciare a tante cose, ma a una cosa i lavoratori non rinunceranno mai ed è la contrattazione collettiva, perché quella è roba nostra e ce la teniamo stretta e impediremo con forza a chiunque di poterci mettere le mani sopra.
Perché vedete, se la situazione fosse grave per tutti, magari… E invece, mille miliardi di dollari vengono trasferiti ogni anno nei paradisi fiscali. Soltanto in Italia vi é un volume di transazioni finanziarie pari ad almeno 7.900 miliardi di euro all’anno, senza alcuna forma di tassazione sulle speculazioni finanziarie. Mancata detassazione delle Big Pharma che durante la pandemia hanno fatto soldi che la mente vacilla: impegno deciso dal precedente governo e da questo governo completamente cancellato perché evidentemente in qualche stanza segreta di chissà quale Paese hanno detto: fermi, vorrete mica tassare le Big Pharma per gli extra profitti?
E allora, cari compagni e amici, io credo che i dati parlino estremamente chiaro: le risorse economiche per eliminare le disuguaglianze e per una politica fatta di investimenti e non di austerità ci sono. Ci vuole la volontà politica per poterli tirare fuori e io credo che abbia fatto benissimo i sindacati confederali CGIL e UIL a coniare questo slogan che a me è piaciuto e ha affascinato fin dall’inizio con il quale chiudo questo mio intervento introduttivo: un’altra politica, economica, sociale e contrattuale non solo è possibile, ma è necessario e urgente. E noi il 17 lo grideremo forte al governo!
Viva il sindacato confederale!
Viva il pubblico impiego!
Roma, 8 novembre 2023
A cura dell’Ufficio Comunicazione UIL Pubblica Amministrazione
DI SEGUITO L’AUDIO DELL’INTERVENTO