Perché è importante utilizzare la famiglia come unità di riferimento degli andamenti del mercato del lavoro? Perché in Italia la famiglia è storicamente il più importante ammortizzatore sociale e agisce come stanza di compensazione di un sistema economico e sociale che penalizza donne e giovani. Anche il Rapporto annuale “Famiglia e lavoro” 2022, realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche – Applicazioni Data Science di Anpal Servizi, conferma questo fenomeno. Il Rapporto rientra nel Programma Statistico Nazionale 2020-2022 del SISTAN (Sistema Statistico Nazionale). I dati si riferiscono al 2021.
Se è vero che le famiglie in cui almeno un componente è occupato sono 15,4 milioni su 25,7 milioni di famiglie residenti e le famiglie con almeno due componenti che lavorano sono 6 milioni 190 mila, due diversi indicatori – che analizzano più in profondità il rapporto tra lavoro e famiglie – restituiscono un quadro più competo e aderente a una realtà sociale multiforme come quella del nostro paese.
Se infatti si considera l’intensità lavorativa, che tiene conto dei rapporti a tempo pieno e part time di tutti i componenti delle famiglie che rientrano nelle “Forze di lavoro allargate”, sono 12,6 milioni i nuclei con livelli alti o molto alti di intensità lavorativa. Tra i monogenitori si registra la quota più elevata di famiglie con intensità di lavoro bassa o molto bassa (il 29,7% delle famiglie con almeno un componente che fa parte delle forze di lavoro allargate). Di contro, sono i nuclei formati da persone sole a far segnare i livelli maggiori di intensità lavorativa (77,7% con livelli alti o molto alti).
Anche da questo punto di vista emerge lo storico dualismo territoriale che caratterizza il nostro Paese: nella macroarea del Nord Italia poco più di una famiglia su 10 mostra livelli bassi o molto bassi di intensità lavorativa. Nelle stesse condizioni si trova il 32% delle famiglie del Mezzogiorno.
L’analisi della diffusione del lavoro atipico conferma lo svantaggio delle famiglie meridionali: considerando come indicatore la quota di nuclei con solo occupati non-standard, si nota come questo gruppo nelle regioni del Nord rappresenti poco più del 10% del totale dei nuclei. Nel Mezzogiorno l’incidenza è pari al 16,3%.
L’altro indicatore di riferimento di questo rapporto è il livello di soddisfazione familiare, inteso come media dei punteggi dei singoli componenti occupati presenti in famiglia desunto dalle risposte ai quesiti dell’Indagine sulle Forze di Lavoro dell’Istat.
Escludendo i circa 2 milioni di nuclei che al loro interno non presentano alcun occupato, Il 4,3% delle famiglie analizzate presenta un livello medio di soddisfazione per il lavoro svolto molto basso, il 6,3% un livello basso e l’11,6% medio. Per il 54% la soddisfazione è elevata e nel 23,8% molto elevata. Le famiglie composte da una persona sola sono quelle che registrano il più alto livello di soddisfazione (79,8% elevata o molto elevata), seguite da quelle monogenitoriali (77,6%) e dalle coppie con figli (77,4%).
Ma la donna risulta ancora sacrificata nel confronto di genere: limitando l’analisi alle sole tipologie familiari “coppie con figli” e “coppie senza figli”, con entrambi i coniugi occupati, solo nel 31,6% dei casi (1 milione e 510 mila nuclei) è la donna ad essere più soddisfatta.
Considerando congiuntamente l’intensità lavorativa e il livello di soddisfazione, Calabria e la Campania risultano le regioni che presentano i livelli più critici, mentre il Nord Italia con Marche, Toscana e Umbria fanno registrare i livelli più elevati. La condizione migliore rispetto ai due indicatori si registra nella Provincia autonoma di Bolzano.
Il rapporto è disponibile nella sezione Laborstat – Osservatorio sui mercati locali del lavoro.