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01.08.2013 – Mobbing una tantum..

Riconosciuto lo “straining” – Cassazione penale sentenza n. 28603/2013 del 3 luglio 2013.
Benchè venga spesso utilizzato il concetto di “mobbing” quale espressione per definire ogni situazione di malessere e disagio sul luogo di lavoro, nell’ambito clinico ed anche – più recentemente – nel panorama giuridico, si vanno sempre, con maggiore precisazione, delineando figure differenti e più specifiche a descrizione delle varie situazioni di conflittualità lavorativa che danneggiano il lavoratore. Una tra queste è lo straining, categoria mutuata anch’essa dalla scienza medica e così sintetizzabile: mentre il”mobbing” è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso, in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità, lo “straining, in via parzialmente coincidente, ma in parte diversa, è “una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer). Lo straining viene praticato appositamente contro una o più persone sempre in maniera discriminante. E’ su questa differenza che nella sentenza del 3 luglio 2013 n.28603/2013, depositata dalla sesta sezione penale, i supremi giudici definiscono il fenomeno di “straining” come forma di “mobbing attenuato”. Al centro del processo alcuni “comportamenti discriminatori” subiti dal lavoratore: la “sottrazione di responsabilità in favore di un’altra dipendente, ingiustificatamente favorita dai dirigenti”, le “ingiuste ed aspre critiche” alla professionalità dell’uomo, la “convocazione di un incontro intersindacale finalizzato a criticare “la condotta del dipendente” “proprio nel periodo in cui si era messo in ferie per riprendersi dalle dure critiche ricevute dai superiori”, “l’estromissione” dal servizio di cui si era occupato, con il successivo “inserimento in mansioni dequalificanti ”. Secondo l’accusa, da questi episodi era “derivata la grave lesione” del lavoratore “consistita nella causazione di un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni”.