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25.03.2014 – Un mito da sfatare

SPENDING REVIEW. COMUNICATO STAMPA EURISPES-UIL-PA: IN ITALIA FALSO MITO SU NUMERO ECCESSIVO DIPENDENTI PUBBLICI.
Il Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, ha confermato nei giorni scorsi  quanto promesso dal premier Renzi: tagli alla spesa per 7 miliardi di euro nel 2014 che diventano 18,3  nel 2015 e 33,4 nel 2016. Tra le misure ipotizzate una ulteriore decisa sforbiciata agli organici: 85 mila esuberi tra i dipendenti pubblici e il blocco totale del turnover.

I dettagli di queste misure si stanno ancora studiando perché potrebbero causare, come ha spiegato lo stesso Cottarelli, l’invecchiamento della popolazione dipendente e diminuire la qualità del servizio. Ma questi tagli sono davvero necessari? Dallo studio pubblicato recentemente da Eurispes e Uil-Pa, intitolato “Dalla Spending review al ritorno del Principe”, emerge che fra i tanti miti che ci sono in Italia c’è anche quello relativo al numero esagerato dei dipendenti pubblici.

In realtà le cose non stanno esattamente così. La spesa per il pubblico impiego in Italia pesa per l’11,1% del Pil. Nel nostro Paese si contano 58 impiegati nella Pubblica amministrazione ogni mille abitanti, ai livelli della Germania (54), in Svezia sono 135. L’Italia risulta l’unico paese in cui, negli ultimi dieci anni il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto: meno 4,7%. Nel resto d’Europa, gli addetti nel pubblico impiego sono cresciuti, soprattutto in Irlanda e in Spagna dove si è registrato un aumento rispettivamente del 36,1% e del 29,6%. Altri paesi mostrano incrementi vicini al 10% (Regno Unito 9,5% e Belgio 12,8%). Infine, un altro gruppo di paesi mostra un trend crescente ma contenuto (in Francia del 5,1%, in Germania del 2,5%, nei Paesi Bassi del 3,1%). I Paesi nei quali la spesa per il pubblico impiego grava maggiormente sul Pil sono: la Danimarca, con un rapporto del 19,2% sul Pil, seguita dalla Svezia (14,4%), dalla Finlandia (14,4%), dalla Francia (13,4%), dal Belgio (12,6%), dalla Spagna (11,9%), dal Regno Unito (11,5%), dall’Italia (11,1%), dall’Austria (9,7%), dai Paesi Bassi (10%), e per finire dalla Germania con il 7,9 per cento. La situazione italiana è quindi perfettamente in linea con la media europea.

 Nella ricerca viene anche confrontato il rapporto tra il numero dei lavoratori nel pubblico impiego e il totale dei residenti nei diversi paesi europei. È significativo il dato della Svezia, dove la Pubblica amministrazione conta circa 135 impiegati ogni mille abitanti, in Germania invece si contano 54 impiegati ogni mille abitanti. Gli altri Paesi posti nelle posizioni intermedie sono la Spagna con 65 impiegati ogni mille abitanti, la Francia con 94 dipendenti ogni mille abitanti, l’Italia con 58 impiegati ogni mille abitanti e il Regno Unito con 92 dipendenti ogni mille abitanti.

«È evidente che la Pubblica amministrazione italiana i “compiti a casa li ha già fatti” – osserva Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes – Mentre i dipendenti pubblici da noi calavano, nel resto d’Europa assumevano. La verità è che, anche per la Pubblica amministrazione, senza un vero e proprio progetto non si va da nessuna parte e di soli tagli si muore. Non riusciamo a mettere a sistema il meglio della nostra Pubblica amministrazione. Dovremmo avere anche noi, come in Francia  una Scuola di Alta formazione sul modello dell’Ena, che valorizzi le nostre best-practice. Il vero problema in Italia non è il numero dei dipendenti pubblici, ma dei dirigenti: un rapporto che in alcuni casi può anche essere di uno a dieci. Per non parlare poi – conclude il Presidente dell’Eurispes– degli stipendi di questi manager: pensare che, ad esempio, un dirigente di un Asl possa arrivare a guadagnare il doppio del presidente della Repubblica ha davvero dell’incredibile».

Osservando la distribuzione dei dipendenti sul territorio, il 34,8% è presente al Nord, il 31,9% al Centro e il 33% al Sud e Isole. Infine, solo lo 0,3% dei dipendenti pubblici italiani lavora all’estero. Tra le regioni la Lombardia, con 409mila addetti, si conferma, contrariamente ai luoghi comuni, la regione con il più alto numero di dipendenti pubblici, seguita dal Lazio, 392.186, e dalla Campania, 303.211.

«Sono anni che la Pubblica amministrazione viene umiliata dai tagli lineari – afferma Benedetto Attili, Segretario Generale della Uil-PA – e quello che lascia allibiti è che neanche i cosiddetti tecnici siano riusciti a valorizzare il merito e a rendere competitivo il Paese, attraverso una macchina più efficiente».

Nelle 9.867 istituzioni italiane, nel 2010, lavoravano 3.375.667 occupati, con una netta prevalenza di donne che raggiungono la cifra di 1.882.619 dipendenti, contro gli uomini fermi a 1.493.048.

Nei diversi comparti, il valore minimo si riscontra nelle Forze armate (5%). Si confermano “rosa”, quelli dedicati all’istruzione (78,1% di donne) e alla sanità (64,2). In 15 regioni su 20 la percentuale di donne supera la soglia del 50% (nel 2005 erano 11). In 10 regioni il tasso di femminilizzazione è superiore a quello nazionale (nessuna di queste regioni si colloca nel Sud Italia). Purtroppo le donne si confermano la base di una piramide al cui vertice sono presenti quasi esclusivamente posizioni maschili. Un aspetto che umilia il merito, soprattutto se si tengono in considerazione gli alti livelli di istruzione delle donne nella PA. La percentuale di dirigenti è molto inferiore a quella degli uomini: rispettivamente il 37% e il 63%. Il trend è comunque in crescita: nel 2005 la percentuale di donne dirigenti era ferma al 27%. Le donne laureate rappresentano il 47,5%, mentre gli uomini il 23,6%, meno della metà. Anche nel caso delle lauree brevi, sono le donne a registrare le percentuali più alte: il 3,2%, a fronte del 2,6%, rilevato tra gli uomini.

«Attenzione perché stiamo giocando con l’asse portante del Paese e delle sue istituzioni – ammonisce Attili– umiliare il merito vuole dire da una parte colpire i giovani e le donne della Pubblica amministrazione, dall’altra danneggiare il servizio offerto ogni giorno ai cittadini».

Nel 2010 l’età media dei dipendenti pubblici era di 48,2 anni, aumentata progressivamente, dal 2005, di quasi 2 anni. Una tendenza determinata dal blocco del turn-over, da una parte e dell’aumento dell’età pensionabile, dall’altra. Tra i comparti più “maturi” la Scuola (età media di 51,7 anni); al contrario, tra i settori più “giovani”, sicurezza e ordine pubblico: dai Vigili del Fuoco (età media 44 anni), ai corpi di Polizia (41,8), e soprattutto alle Forze Armate (38,7).

Rispetto al 2005, sono aumentati in modo significativo i contratti a tempo indeterminato, che nel 2010 erano il 95,2% del totale; sono cresciuti lievemente i lavoratori atipici che dall’1%, nel 2005, sono saliti al 2,2% nel 2010. In calo in maniera sensibile, invece, i contratti a tempo determinato: erano l’11,3% nel 2005, sono il 2,2% nel 2010.

Nell’arco del triennio 2008-2010 si è registrata una drastica riduzione dei contratti di Formazione (-74%), così come i Lavoratori Socialmente Utili che calano di circa 4.000 unità (pari a 15,47%). In controtendenza, rispetto all’andamento generale, i contratti interinali aumentano di 1.592 unità (+17,23%).

Oltre il 40% dei dipendenti pubblici ha un alto livello d’istruzione: il 36,8% possiede una laurea, il 3% una laurea breve e il 3,3% un titolo post-laurea. La maggioranza dei dipendenti pubblici, il 39,9%, è in possesso di una licenza superiore, mentre il restante 17% ha un basso livello di scolarizzazione.

Mentre il dato della spesa pubblica rapportato al Pil ha subito una drastica contrazione, passando dal 52,5% del 2009 al 50,5% del 2011, l’aspetto più significativo riguarda la contrazione della spesa per redditi da lavoro sul totale della spesa corrente, il cui rapporto scende dal 23,7% del 2008 al 22,7% del 2011. Le retribuzioni lorde annue pro-capite attualizzate, considerando il triennio 2008-2010, hanno registrato un incremento del 2,55%, che in valori assoluti corrisponde a un aumento medio di 869 euro. È l’ultimo aumento registrato prima del grande blocco delle retribuzioni e della contrattazione nel pubblico impiego disposto nel 2010 dal Governo Berlusconi e prorogato dai Governi Monti e Letta.

«Non è più accettabile – conclude il Segretario Generale della Uil-PA– continuare a parlare della Pubblica amministrazione soltanto e solamente in termini di costi. La Pubblica amministrazione è l’unico vero presidio di democrazia e di garanzia di servizi equi e solidali per la cittadinanza. 60 milioni di cittadini, pensionati, malati, lavoratori e imprese ogni giorno entrano in contatto con lo Stato, attraverso i suoi dipendenti,  per ottenere servizi. Non si può continuare a smantellare la pubblica amministrazione come si è fatto negli ultimi venti anni, tagliando i servizi e togliendo dignità agli operatori. È un grave errore che peserà sulle generazioni future».

 

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